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Giulietta e Arturo: filtri d’amore e di morte

Foto di Luca Torriani

Dall’inganno di Giulietta che si finge morta al finto suicidio di Arturo: a volte l’amore ha bisogno di qualche piccolo escamotage, l’importante è non far finire tutto in tragedia.

Quando sembra che tutto sia perduto e che i giovani innamorati, giovani sposi ormai, non potranno mai stare insieme, la Giulietta shakespeariana, con l’aiuto di frate Lorenzo, mette in scena la propria morte per poter poi fuggire insieme all’amato. Mentre la fiduciosa Giulietta però è immersa nel suo sonno non così eterno, frate Giovanni, fidato assistente di frate Lorenzo, non riesce ad avvisare Romeo del piano. Questi, venuto a sapere della morte della fanciulla, si reca alla sua tomba, dove pronuncia le estreme parole:

«[…] Eyes, look your last!
Arms, take your last embrace! And lips, O you
The doors of breath, seal with a righteous kiss
A dateless bargain to engrossing death!
Come bitter conduct; come, unsavoury guide!
Thou desperate pilot, now at once run on
The dashing rocks thy seasick weary bark!
Here’s to my love! [Drinks] O true apothecary!
Thy drugs are quick. Thus with a kiss I die [Dies]»

«Occhi, guardatela un’ultima volta,
braccia, stringetela nell’ultimo abbraccio,
o labbra, voi, porta del respiro, con un bacio puro
suggellate un patto senza tempo con la morte
che porta via ogni cosa. Vieni, amara guida,
vieni, scorta ripugnante. E tu, pilota disperato,
avventa veloce su gli scogli la tua triste barca
stanca del mare. Eccomi, o amore! [Beve] O fedele [mercante,
i tuoi veleni sono rapidi: io muoio con un bacio». [1]

Così la prima pozione, che doveva donare ai due giovani una vita d’amore, lontani e liberi dalle faide familiari, si trasforma in inganno mortifero, causa del gesto fatale di Romeo. A questa prima pozione, inoltre, fa da contraltare la seconda: il potente veleno con cui Romeo si suicida. Proprio questo Giulietta, destatasi, cercherà di assorbire dalle labbra dell’amante con un bacio, per morire di identica morte. Non riuscendoci si trafiggerà poi con la spada dello stesso Romeo. Così questa tragedia, che presenta talvolta toni e trucchi da commedia – non ultimo quello del filtro ingannatore – raggiunge infine il suo esito.

Di finire in tragedia rischia anche il trucco di Arturo, protagonista de L’isola di Arturo di Elsa Morante, che, per conquistarsi le attenzioni della matrigna, di cui è innamorato, decide di fingere la propria morte. L’elisir adottato non è stavolta una pozione, ma dei sonniferi, rubati al padre assente. I toni iperbolici e leggeri del fanciullo Arturo che racconta creano una commistione con il comico per il lettore, che si aspetta certo un esito felice dell’avventura e percepisce come quasi caricaturale questa trovata arturiana: «Mi versai nella palma le pastiglie contenute nel tubetto, e le contai: erano nove, proprio il numero che mi ci voleva, secondo i miei calcoli. Difatti, a quanto io ne sapevo, esso non potrebbe riuscire mai a uccidere un uomo, ma basterebbe certo a dargli un qualche malore d’apparenza tragica. Che sorta di malore sarebbe stato, io non potevo prevederlo se non in modo impreciso, nella mia ignoranza; ma confidavo in un effetto abbastanza spettacoloso» [2].

Ma la vicenda rischia davvero di finire in tragedia: Arturo infatti, basandosi sulle dosi del farmaco assunte normalmente dal padre, non si rende conto che tali quantità possono essere fatali a un ragazzino, quale lui è. Ciò viene certo narrato coi toni trasognati ed eroizzanti dell’adolescente, ma agli occhi della povera Nunz., la matrigna, Arturo ha davvero rischiato la vita e non le sarà neanche concesso di sapere davvero il perché («Certo, non volevo, però, a nessun costo, svelarle che questo suicidio era un’impostura, e che la ragione di tutto era stata lei! e, lì per lì, non trovai consiglio migliore che improvvisare un’altra spiegazione qualsiasi, tanto per risponderle» [3]).

Così a distanza di secoli due eroi letterari decidono di assumere un elisir fatale per conquistare il proprio lieto fine. Inutile dire che il tentativo non riesce. E la linea tra esito tragico e comico si fa molto sottile.

Elena Sofia Ricci


[1] William Shakespeare, Romeo e Giulietta, traduzione di Salvatore Quasimodo, ed. Arnoldo Mondadori Editore S.p.A, 2001, Milano, V atto, III scena, p. 230-231.
[2] Elsa Morante, L’isola di Arturo, Einaudi, (1957) 1995, Torino, p. 243.
[3] Ivi, p. 253.

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