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Un collare per una pelliccia

Fotografia di Luca Torriani

Palocco (1990), racconto lungo o romanzo breve moraviano, è una storia sulla meschinità umano-borghese verso una donna ingenuamente estranea alle dinamiche relazionali con l’altro sesso.

Cresciuta in convento, Lola, infermiera “orfana di padre e di madre, brutta e solitaria” [1] non è interessata ai rapporti con gli uomini, o meglio è totalmente estranea ad essi. L’unica relazione duratura che ha è quella con il cane Palocco, suo interlocutore silenzioso. Ad esso Lola racconta tutte le piccole vicende quotidiane e anche quando Palocco muore investito da una macchina Lola continua a narrargli le sue vicende usando come intermediario una foto del fedele cane.

Proprio attraverso il monologo rivolto al cane il lettore è immerso nell’universo quotidiano di Lola, le cui giornate sono scandite dalle iniezioni che porta a porta fa ai suoi pazienti. Tramite questo racconto emerge già la prospettiva che connoterà i contatti di Lola con gli uomini lungo tutto il racconto lungo o romanzo breve. Dal primo incontro con un giovane che la segue in autobus l’ingenua Lola mostra non solo di non apprezzare le attenzioni maschili e dichiara anzi di non esserne interessata, ma appare anche oggetto delle meschinità umane.

Cresciuta in un ambiente, quello del convento, estraneo alle convenzionali relazioni tra i due sessi, la ragazza si muove con una docile ingenuità nel mondo: subisce le angherie sessuali del giovane dell’autobus, rimane sconcertata dalla leggerezza con cui la signora Crostarosa, sua paziente, le dice di avere un amante, bacia il sedere di una giornalista, altra paziente, solo perché gliel’ha detto, ironicamente, non comprendendo poi il fastidio della donna.

Per Lola i sederi a cui elargisce iniezioni corrispondono alle facce dei loro possessori e ne riflettono, cioè, il carattere. In un mondo semplice, in cui le persone dovrebbero già essere ciò che appaiono, Lola andrà però incontro alla peggiore rivelazione sulle meschinità umane: è proprio l’unico uomo per lei degno di nota, il veterinario Gesualdo, a causare la sua umiliazione.

Seguendo il proprio desiderio di ottenere una pelliccia biologica verde con le guarnizioni viola, per lei però troppo costosa, Lola interpreta a proprio piacimento un sogno e cerca di convincere il signor Gesualdo, mediante il significato da lei intessuto attorno al sogno, a donargliela. È a questo punto che Gesualdo, probabilmente aizzato dal giovane amico “il gatto”, con cui ha un rapporto alquanto ambiguo, mette in atto un tranello. Condotta Lola con l’inganno al suo negozio le propone un patto: la pelliccia sarà sua se, come accadeva nel sogno, per cinque minuti indosserà un collare da cane, con l’aggiunta di una nudità invece non presente in esso. “Dài, fai la cagna per cinque minuti e la pelliccia è tua” [2], infierisce “il gatto”. Lola se ne va così sdegnata mentre l’unica relazione con un uomo che avrebbe potuto importarle sfuma in una grottesca rivelazione.

Elena Sofia Ricci


[1] Moravia, Palocco, Milano, Bompiani, 1990, p. 5.
[2] Ivi, p. 57.

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