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Ago, filo e nodo

Tra gli anni ’50 e gli anni ’60 nasce il movimento della Pop art, arte popolare in quanto prodotta in serie. Tra gli artisti di questa corrente vi è lo scultore Claes Oldenburg, autore della scultura “Ago, filo e nodo”, realizzata per la stazione Cadorna di Milano insieme alla seconda moglie Coosje van Bruggen.

Fotografia di Tefiny Tulod

Nel 2000 viene inaugurata a Milano la nuova versione di Piazza Cadorna, asse ferroviario centrale del capoluogo meneghino. La nuova impostazione della piazza, il cui progetto e la cui ideazione fu affidata dal Comune di Milano al famoso architetto Gae Aulenti, prevede come elemento decorativo e simbolico principale dell’intero spazio urbano interessato una grande scultura in due parti che la Aulenti affida a sua volta a due artisti stranieri, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, uniti peraltro da un sodalizio personale oltre che professionale.

Si tratta dell’opera denominata “Ago e filo e nodo”, un’opera controversa, non da tutti apprezzata e anzi spesso considerata invasiva e kitsch. La struttura è completamente in acciaio e vetroresina, coloratissima, con un primo elemento che raffigura un ago con filo che entra in una fontana e un altro elemento che consiste in un nodo. Il filo, anzi i fili, di colore rosso vivo, verde bandiera e giallo forte, attraversano il sottosuolo, simbolicamente alludendo alle tre linee principali della metropolitana milanese, i cui colori sono appunto quelli prima citati. La scultura intende celebrare l’industria tessile milanese, di quella città che è capitale della moda italiana. Proprio dalla stazione di Cadorna, infatti, partono i treni verso Varese e Como, la patria in Italia delle filiere tessili, dei tessuti e delle sete di pregio. Nell’inaugurare la piazza fu inoltre proprio la Aulenti a far notare che l’opera evoca il simbolo del Biscione, lo stemma degli Sforza, visconti di Milano. 

Gli autori di questa contemporanea scultura a due tempi sono due stranieri. Lo scultore che firma il progetto è Claes Oldenburg, un artista della corrente della Pop art, svedese spostatosi in America proprio per seguire le sue tendenze artistiche. Una parentesi su quella corrente artistica: la cosiddetta “Popular art”, arte popolare non in quanto del popolo o rivolta al popolo, ma perché “prodotta in serie”. 

L’idea è quella di rendere arte lo stesso consumo ed i beni di consumo di maggiore diffusione nella società di massa, in modo da poter rivolgersi a tutti indistintamente. Il movimento rinuncia volutamente al carattere esclusivo dell’opera d’arte che invece era stato proprio delle avanguardie dei primi decenni del secolo. In questo caso, anche l’arte diventa un prodotto in serie e rappresenta stimoli che quotidianamente e dovunque, specie nelle città, in Europa come in America, accompagnano l’uomo contemporaneo. È la crisi dell’arte classica, e ancor più dell’arte non figurativa, la fine della concezione dell’artista come un dispensatore di cultura, una figura epica e intellettuale, distante dal mondo circostante almeno in quanto portatore di una sua idea autonoma. Si fa avanti al contrario l’opinione che l’arte sia riproducibile e che possa attingere alle forme ed alle espressioni della vita e della società, persino ai soggetti ed agli oggetti presenti nella vita di tutti i giorni.

È così che, senza alcuna volontà provocatoria, l’artista della Pop art tende a riprodurre, spesso in grande scala, a volte ripetendone la forma o l’immagine, beni di uso quotidiano. È questo il caso proprio di Claes Oldenburg. La volontà di Oldenburg è quella di mettere in luce il consumismo della società americana. Le sue prime opere furono soprattutto enormi sculture in gesso raffiguranti alimenti che la popolazione americana mangiava in gran quantità: panini, hot dog, hamburger, patatine fritte. È quello il suo periodo d’oro, in cui si afferma e si fa apprezzare, e corrisponde agli anni ’50-‘60, nel momento della piena diffusione del movimento della Pop art che nasce fra Inghilterra e Stati Uniti. Allora con la crisi della rivoluzione industriale, si punta ad una sorta di democrazia sociale anche attraverso l’arte. Se “le cose” raffigurate sono di larga diffusione allora anche l’arte si rivolge a tutti e da tutti può essere compresa.

In America Oldenburg mira a realizzare, anche con l’aiuto della prima moglie, sculture di grandi dimensioni, coloratissime, raffiguranti elementi concreti, le cose della vita. È nel 1971 che lo svedese viene chiamato in Olanda dove conosce la sua seconda moglie Coosje van Bruggen, studiosa di storia dell’arte. A questo periodo va ascritta l’opera “Ago filo e nodo” citata all’inizio: l’artista svedese perde un po’ della sua anima pop e si lascia influenzare dal carattere concettuale e meditativo di Coosje: vengono fuori così e sono ancora visibili in molte città europee, asiatiche o americane, una serie di oggetti per certi versi enigmatici, dal significato metaforico. Lavori che sono il segno di una simbiosi artistica oltre che personale tra Claes e Coosje.

Una vera unione democratica ed artistica che attraverso lo scambio di esperienze è riuscita a lasciare traccia in lavori assai originali con una forte impronta di modernità e di contemporaneità. In questo senso l’impatto con le opere di questi artisti costringe lo spettatore che se le trova di fronte a riflettere sulla stessa essenza della società contemporanea, con un messaggio che certamente rinvia al crescente desiderio di progresso che il consumismo porta con sé.

E d’altro canto sono proprio queste opere a produrre un velato senso di angoscia per la solitudine dell’uomo dei tempi attuali, ridotto in molti casi, nell’era della globalizzazione, a un soggetto prevedibile, condizionato dalle mode, dalla pubblicità e dagli “influencer” del momento, e quindi per certi versi incapace di trovare realmente e in autonomia il vero valore dell’esistenza.

Marta Casuccio

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