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Ungaretti e la «smisurata demenza» dell’innamoramento senile

Foto per articolo Alice Dusso, dicembre 2020
Fotografia di Valentina Steffenoni

Ad oltre quarant’anni da Porto sepolto, Giuseppe Ungaretti si presenta in una veste sentimentalmente inedita nelle Lettere a Bruna (1966-1969), giovanissima amante incontrata a quattro anni dalla morte.

È l’agosto del 1966 quando la strada già ben battuta di Giuseppe Ungaretti, 78 anni, incrocia quella ancora morbida della appena ventiseienne Bruna Bianco a San Paolo del Brasile, dove le trincee che hanno reso noto il poeta sono lontane. La fama, però, accorcia le distanze: Ungaretti è un artista acclamato nella metropoli, dove, nel periodo in cui insegnò all’Università cittadina, lasciò la tomba del figlio, morto ad appena nove anni. In visita a questa, si trattiene in città per una conferenza, dopo la quale la Bianco gli stringerà la mano e gli porgerà i suoi versi inediti. Prima ancora della sua poesia – a prima lettura «parsa inutile» [1] – sarà la grazia di Bruna, il «moto con cui, flessuosa al pari di una giovane pianta, ha reagito naturalmente al gesto affettuoso di quell’uomo […] che per un attimo la stringeva a sé» [2], a destabilizzare teneramente il cuore del poeta.

Quasi quattrocento «lettere più lunghe di dieci righe» – un «miracolo» per il maestro della sintesi – mettono a nudo la passione di Ungaretti per lei che è «l’eccezione in tutto […] la Poesia, il fuoco della poesia, la verità della poesia» [3]. “Eccezione”, sì, perché gli oltre cinquant’anni di differenza non possono che far storcere il naso anche ai più inguaribili romantici: «io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio» [4] ammette lo stesso.

Nel descrivere cosa arde sotto la sua pelle, Ungaretti usa termini e metafore che rimandano ad un’età che non è la sua, come a sottolineare l’estraneità di un simile impulso alla maturità del suo corpo. «Sono come un bimbo che balbetta un incomprensibile desiderio, e va barcollando verso la sua luce. Sogno, sogno insensato, amore mio» [5], «sono innamorato come un ragazzino, e non ho più da un secolo l’età, ed è assurdo – e faccio quello che facevano […] gl’innamorati al loro primo amore» [6] – e ancora – «ti scrivo da un caffè. Voglio ad ogni costo sembrarmi giovane» [7].

Le pulsioni che l’uomo sperimenta, l’autore le rilegge, dunque, come estranee alla sua senilità, quasi suggerendo che ogni età abbia i suoi ritmi affettivi e sentimentali: c’è un tempo per conoscere gli impulsi, uno per imparare a governarli, uno per maturare un sentimento che non sia mera emozione e uno per prendersi cura di questo quando non è più verde. Queste non sono demarcazioni ferree o leggi intransigenti volte a stabilire quando e come sia consigliabile amare, ma sono direttive che descrivono come la maturazione sentimentale debba essere in sincronia con la crescita dell’essere umano. Quando questa sincronia manca, allora il sentimento quasi stride addosso all’uomo: «quelle lettere nelle quali mi narri del tuo slancio, a cavallo, a nuoto, in cuore al tuono, folle d’impeto di gioventù, mi ti fanno invidiare e anche guardarti con felicità, con invidia, e con disperazione per i miei tanti anni che mi lasciano tanto poca potenza» [8].

Alla domanda moraleggiante circa la liceità dell’innamorarsi ad un’età così tarda, e, per giunta, di una persona così giovane, il poeta sembra, dunque, già rispondere: è una “demenza”, «una smisurata demenza» [9]. È una passione folle, sicuro, perché nessuna logica umana o naturale la accompagna: non c’è un concreto progetto di vita che possa seguire lo slancio amoroso di un vecchio nei suoi ultimi anni. «La forza irresistibile di questo sentimento fa sì che egli non lasci a Bruna un’effettiva libertà di scegliersi per compagno un coetaneo come legge di natura vorrebbe» [10].

Eppure, forse, una simile follia è un lusso che si potrebbe concedere a chi calca gli ultimi passi in vita, anche in contraddizione alle definizioni di giusto e sbagliato morali. «E so che t’amo, e che, anche con gli anni che mi pesano, amare può essere un’assurdità, ma è luce, luce» [11]. Alla fine di tutto, al poeta rimarranno pochi attimi in terra ancora, alla giovane una vita da costruire, a cui il sincero amore di un vecchio non potrà che aver consegnato le fondamenta.

Alice Dusso


[1] Giuseppe Ungaretti, Lettere a Bruna, a c. di Silvio Ramat, Mondadori, 2017, p. 6
[2] Silvio Ramat, «… il nostro ardente segreto», in G. Ungaretti, Lettere a Bruna, p. VI
[3] G. Ungaretti, Lettere a Bruna, p. 9
[4] Ibi, p. 7
[5] Ibi, p. 29
[6] Ibi, p. 38
[7] Ibi, p. 40
[8] Ibi, p. 639
[9] Ibi, p. 10
[10] S. Ramat, «… il nostro ardente segreto», p. X
[11] G. Ungaretti, Lettere a Bruna, p. 15

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