In Youth (2015) Paolo Sorrentino cerca di definire la giovinezza tramite la senilità. Fra atmosfere felliniane e barocchismo tecnico, il regista usa la riflessione su giovinezza, vecchiaia, tempo e memoria, per esprimere di fatto una visione dell’arte e della vita.
Nel secondo lungometraggio in lingua inglese di Paolo Sorrentino, il protagonista Fred Ballinger (Michael Caine), celebre e apprezzato compositore ormai anziano e ritiratosi a vita privata, trascorre l’estate in un residence di lusso sulle Alpi svizzere, vittima dell’ apatia e del senso di delusione. La figlia (Rachael Weisz) lo accusa di essere stato un pessimo padre e marito. Nel frattempo, un emissario della Regina Elisabetta lo vorrebbe di nuovo sul palco per dirigere ancora una volta le sue celebri Canzoni semplici nonostante il secco rifiuto del compositore. Fra gli ospiti del residence c’è anche il suo migliore amico, Mick Boyle (Harvey Keitel), grande regista alle prese con la scrittura del suo prossimo film, che definisce il suo testamento artistico ma che sarà stroncato dal rifiuto della sua attrice feticcio, Brenda Morel (Jane Fonda), a prendervi parte. Il successivo suicidio di Mick, scuote profondamente Fred che si decide quindi ad andare a trovare la moglie dopo molti anni, ricoverata a Venezia per una grave forma di demenza, e ad accettare l’invito della Regina a dirigere nuovamente le sue Canzoni Semplici dedicate alla moglie stessa.
Nonostante secondo parte della critica il film inciampi in diversi limiti, non mancano slanci più che interessanti. Fra tutti, il tentativo di definire la giovinezza attraverso la vecchiaia. In questo, sembra fondamentale il confronto fra Fred e John Tree (Paul Dano), un giovane attore perseguitato dalla notorietà datagli dal suo ruolo in un grande blockbuster, con cui Fred si dedica ad intense discussioni che sembrano far spesso da contrappunto ai pensieri del protagonista. Durante una prima discussione con Mick, Fred confessa il suo senso di smarrimento di fronte alla vanità dei suoi sforzi per essere un buon padre dal momento che tutte le piccole cose fatte per la figlia saranno da questa dimenticate con il passare del tempo. La risposta a questo senso di frustrazione sembra arrivare proprio in un dialogo con John Tree, dove l’attore rimarca l’imprescindibilità del ruolo di un padre come stella polare nella vita di chiunque, lenendo il senso di futilità che ammorba i pensieri di Fred. Il confronto generazionale è espresso anche dal rapporto fra Mick e il suo team di giovani sceneggiatori, in cui il regista riconosce il proprio entusiasmo ancora vivo e la sua visione del futuro.
Un altro momento essenziale è il confronto/scontro fra Mick e Brenda Morel, forse uno dei momenti più crudi ed intensi del film. L’attrice, immagine di una donna rude e tremendamente spaventata, ossessionata dalla decadenza degli anni e dalla paura del futuro, abbandona il grande regista, annientandone con brutalità i sogni e le aspirazioni.
Brenda non riflette altro che la schietta crudeltà del passare del tempo e del mutare inesorabile delle cose che si contrappone a una visione ancora speranzosa e romantica della vecchiezza espressa dall’entusiasta Mick. In questo episodio si potrebbe riscontrare il significato attribuibile al suo suicidio di fronte agli occhi di un Fred sconvolto. Con le sue ultime parole al suo grande amico, Mick rimarca la centralità delle emozioni. Non potendo più provarne e crearne di nuove attraverso la sua arte e dar sfogo alla sua vitalità, il suicidio diventa la scelta logicamente conseguente.
Paolo Sorrentino, parlando del film, ha detto: «l’attesa del futuro è l’attesa della gioventù» [1]. A Fred, dopo aver visto la morte e la sua disperazione così da vicino, non rimane che raccogliere l’invito dell’amico perduto guardando alla consapevolezza che per lui ci può essere ancora un futuro, una giovinezza e soprattutto l’arte.
Andrea Faraci
[1] Intervista per Effetto Notte (28 maggio 2015)