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Un viaggio di 74 minuti: Il mondo di Mingus raccontato da Hal Willner

© Filippo Ilderico, 30 dicembre 2018
Fotografia di Filippo Ilderico

Weird Nightmare: Meditation on Mingus, capolavoro del 1992 di Hal Willner sulle musiche di Charles Mingus, è un viaggio mistico e impressionistico, un sogno, un mondo fatto di luoghi, colori, odori e suoni insoliti, attraverso l’utilizzo geniale di particolari strumenti e il coinvolgimento di una troupe polimorfa, composta da musicisti e letterati provenienti da retaggi molto lontani tra loro.

Quando Hal Willner, eclettico e originale produttore musicale, ha incontrato per la prima volta Sue Graham (moglie e manager del defunto Charles Mingus) aveva già intuito che il compito di fare un tributo al grande contrabbassista jazz senza sfociare nel riduzionismo sarebbe stato un’ardua impresa. 

Ideato nel 1984 ma pubblicato solo 8 anni dopo, questo è il quinto di un’acclamata serie di tributi in cui Willner ha impiegato musicisti jazz, pop e classici per rimodellare radicalmente la musica dei suoi compositori preferiti. Lui stesso ha affermato che questo album ha avuto vita propria ed è stato un viaggio interminabile tra accordi telefonici, imprevisti lavorativi, blocchi creativi e idee improvvisate in studio. I 19 brani risultanti sono il frutto del suo personale ‘incontro’ con il Mingus-uomo, non solo attraverso lo studio dei suoi brani (strettamente legati alle vicende della sua vita) ma anche attraverso la lettura attenta della sua autobiografia Beneath the Underdog, piena di favole incredibili e racconti esilaranti (alcuni utilizzati anche all’interno dell’album).

Ciò che garantisce unicità a questo lavoro è l’infaticabile ricerca tra i meandri più oscuri del cinema, della letteratura e della musica, mettendo in studio di registrazione diversi mondi in collisione. Le personalità artistiche coinvolte sono infatti tutte differenti tra loro per genere e personalità: basti pensare al coinvolgimento del rapper Chuch D, di una cantante sperimentalista come Diamanda Galàs, di Leonard Cohen, qui usato come voce recitante, del romanziere Hubert Selby Jr. e molti altri ancora.

Inoltre, la sensazione da parte dell’ascoltatore di essere immerso in un mondo altro, non sarebbe stata possibile senza la straordinaria e originale strumentazione utilizzata. Infatti, oltre agli strumenti convenzionali, vi sono una dozzina di diverse enormi e mistificanti costruzioni di legno grezzo, filo metallico, bottiglie di vetro, tubi e cianfrusaglie in plastica, inventate negli anni ’50 dall’eccentrico compositore americano Harry Partch: nelle mani di grandi artisti presenti in studio, sorpresi e incuriositi nel suonarli per la prima volta, essi garantiscono atmosfere esoteriche e idiosincratiche che – anche a detta della moglie Sue – sarebbero sicuramente state approvate da Mingus che avrebbe gradito l’interessante intruglio musicale e la commistione insolita tra la sua musica e il sound creato da quegli strani oggetti d’avanguardia.

Già dal primo minuto l’ascoltatore si rende conto di entrare in contatto con una rivisitazione musicale del tutto peculiare: ascoltarlo in ordine e tutto d’un fiato sembra quasi la regola per questo album che si presenta come un vero e proprio “percorso della mente”, una storia, un affascinante viaggio di 74 minuti.

Il primo brano (Canon) immerge subito l’ascoltatore in un’atmosfera esoterica, tetra, cupa, che si fa poi gioiosa, a tratti circense e in seguito di nuovo spettrale. Il brano che più incarna questo strano “viaggio della mente” è il quinto, affidato alla voce di Elvis Costello, che intona la ballad Weird Nightmare (indiscusso capolavoro dell’album). I testi tratti dall’autobiografia di Mingus scorrono poi sulla musica che le fa da scenario.

Lo sperimentalismo incombe anche nei brani successivi, immergendo l’ascoltatore in un universo parallelo fatto di suoni contaminati, dissonanti e destabilizzanti, che sembrano far crollare ogni certezza interiore. Atmosfere festose e malinconiche si dipanano di minuto in minuto intrecciandosi con cambi repentini che stupiscono l’ascoltatore. Il suono aspro e stridente di banjo e violino irrompe sulla scena (è il caso di Open Letter to Duke).

Compaiono strilli, respiri angoscianti e mugolii lontani che sembrano delineare un luogo tetro, un bosco misterioso. L’energia musicale sale: dopo l’energico Freedom ecco un mormorio spettrale di gong che annuncia la fine; voci smorzate si allontanano dalle casse dello studio, mentre il brano cardine (Weird Nightmare) si ripresenta in tutta la sua potenza narrativa e compositiva, come chiusura di questo viaggio stravagante in una realtà altra: affidata nuovamente alla voce di Costello che intona, ancora una volta, quella melodia dal testo viscerale: «Strano incubo… tu perseguiti ogni mio sogno… strano incubo…».

Eleonora Gioveni

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