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I ragazzi di vita di Milano tra fabbriconi, periferie e lunghi viali

© Filippo Ilderico, 30 dicembre 2018
Fotografia di Filippo Ilderico

Dalle luci della Galleria alle insegne luminose dei bar di periferia, dove tra bicchieri di vino, musica e battute goliardiche, emerge una vitalità caratteristica di quelle che possono essere considerate – oggi come ieri – delle città invisibili agli occhi degli altri.

«E, non lontano, tra casette abusive ai margini del monte, o in mezzo a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi leggeri come stracci giocano alla brezza non più fredda, primaverile […]». Sono parole di Pier Paolo Pasolini che, ne Le ceneri di Gramsci, racconta della vita di ragazzi nati ai bordi della periferia.

Carlo Cassola, romano di nascita, diceva di amare le periferie proprio perché professava un sentimento di attaccamento per tutte quelle cose situate ai margini: del centro città, o, forse, della vita.

Un autore che ha raccontato nella maggior parte delle proprie opere queste città invisibili che sono le periferie all’indomani della Seconda guerra mondiale è Giovanni Testori, nato a Novate Milanese nel 1923. I suoi ragazzi sono giovani e giovanissimi che vivono in Lombardia.

È una sterminata periferia del boom economico, la Milano di Testori: Ghisolfa, Bovisa, Vialba, Villapizzone, Affori, Roserio.

Questo boom si fa sentire, sicuramente, nel centro città, basti a pensare alle insegne luminose che rendevano Palazzo Carminati una sorta di Time Square, oppure ai rumori assordanti delle Vespe lungo i viali milanesi.

L’ambiente periferico, invece, era diverso: caratterizzato da una voglia di vitalità e di «arrivare, nonostante tutto e tutti» come il ciclista Dante Pessina, protagonista de Il Dio di Roserio, esordio di Testori del ’54.

Una componente fondamentale che rende vivo questo “mondo della periferia milanese, popolato di poveri diavoli che tirano la carretta in fabbrica o a bottega ma anche di sfaccendati proprio a tutto” è sicuramente la voglia di riscatto dopo un periodo nero: quello della Seconda Guerra Mondiale.

I giovani ragazzi si rendono conto del cambiamento e dei miglioramenti portati dal boom economico nonostante questi anni dell’incanto siano, per loro, solo un’immagine lontana, da osservare, non con poca invidia, nascosti dietro ai grandi finestroni delle case popolari, i fabbriconi, come l’omonimo romanzo breve di Testori.

Alle strade illuminate del centro di Milano rispondono dei lunghi viali nebbiosi percorsi da «giovani e giovanissimi che cercano di sfuggire a un destino immutabile, fatto di poco denaro e molto lavoro: c’è chi ci prova con la boxe o il ciclismo, chi con la politica, chi dando un prezzo anche al proprio corpo» come scrive Michele Turazzi in un recente libro dedicato alla letteratura di Milano.

Se lungo il Tevere ci sono Riccetto, Genesio, Caciotta, Amerigo e gli altri ragazzi di vita che diedero tanto scandalo, a Milano, nelle periferie quasi invisibili rispetto alla grande festa del centro, ci sono Dante Pessina, il Brianza, il Ras, la Wanda e la Gilda, la scandalosa prostituta che primeggia fra le tante eroine dei caseggiati milanesi.

La geografia dell’hinterland milanese è l’elemento caratterizzante l’opera di Giovanni Testori, e lo si denota anche dai titoli dei suoi lavori, che vengono raccolti con il titolo I segreti di Milano. Il suo intento è quello di creare una Commedia lombarda, secondo l’esempio della Commedia umana di Balzac.

Il Dio di Roserio, Il ponte della Ghisolfa, La Gilda del Mac-MahonL’ArialdaIl Fabbricone: sono questi i titoli del grande ciclo dell’autore di Novate Milanese.

È una Milano quasi scomparsa, quella di Testori: lo straordinario racconto da cui Luchino Visconti trasse diretta ispirazione per il film Rocco e i suoi fratelli.

Lungo queste strade sono proprio i grandi casoni grigi che rendono le periferie invisibili: la differenza che intercorre tra questi sobborghi dell’hinterland e le grandi città sono di carattere culturale, sociale e anche economico. È questa sottomissione alla grande metropoli che le rende appartate e nascoste agli occhi degli altri.

La Milano del centro, quella pronta a diventare la Milano da bere, tra cravatte e colletti bianchi, banche, ristoranti di lusso e quadrilatero della moda, lascia posto, nelle opere di Testori, a personaggi che si incontrano nei bar, frequentano le palestre, passano le domeniche nei “cine”, si innamorano di prostitute e, tra un ultimo bicchiere che ultimo, però, non è mai, si limitano a tirar mattina, come recita il titolo del capolavoro di Umberto Simonetta del ’63, altro romanzo che racconta una Milano periferica quasi dimenticata.

Ma nonostante queste differenze, le periferie sono riuscite a mantenere la loro forza, la loro dignità, letteraria e non. Perché, come scrisse Italo Calvino in uno dei suoi saggi più interessanti, «una città può passare attraverso catastrofi e medioevi, vedere stirpi diverse succedersi nelle sue case, veder cambiare le sue case pietra per pietra, ma deve, al momento giusto, sotto forme diverse, ritrovare i suoi dèi». E la periferia di Testori, questi dèi, magari con fatica e non con poche difficoltà, li ha trovati.

Alessandro Crea

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