Il documentario del 2016 diretto da Madeleine Gavin City of Joy mostra il percorso della prima generazione di donne ospitate nella struttura da cui il film prende il titolo: donne vittime di abusi indicibili che imparano ad andare avanti e ad avere una nuova considerazione di sé e di quello che possono fare.
Il documentario si ispira al progetto nato a Bukavu nel 2011 ad opera del Dr. Denis Mukwege, dell’attivista congolese-olandese Christine Schuler Deschryver e di Eve Ensler, scrittrice vincitrice di un Tony Award con The Vagina Monologues. La struttura nasce però dal desiderio delle donne di avere un posto dove vivere in comunità e guarire: «they wanted a place to turn their pain to power» [1].
Queste donne sono state vittime di violenze, stupri, mutilazioni – alcune di esse sono state private della vescica o di parte degli organi genitali – e sono state in molti casi abbandonate dai loro cari poiché considerate impure dopo ciò che hanno subito, o li hanno persi nella stessa guerra che ha causato loro tanto dolore. In una nazione in lotta per lo sfruttamento dei giacimenti minerari lo stupro è utilizzato come arma, per svuotare i villaggi, per far fuggire le persone e gettarle in un clima di terrore.
Nella City of Joy, una “città” di sicurezza in un Paese dilaniato, imparano a vivere di nuovo, a non considerarsi impure o indegne per quello che è successo loro e a valorizzare e amare i propri corpi.
Queste donne, dopo le sofferenze che hanno dovuto subire, sono le più adatte a rappresentare la classe dirigente del futuro Congo: chi meglio di loro può conoscere i problemi della nazione? Chi può avere una spinta maggiore a far in modo che fatti del genere non si ripetano? Questo uno degli ideali trasmessi dal documentario.
Delle 1117 donne che hanno vissuto nella struttura dal 2011 a oggi, questa speranza molte di esse la stanno realizzando: lavorano come giornaliste, contadine, alcune hanno creato delle iniziative no-profit o hanno aperto delle attività, altre sono tornate a scuola.
Un progetto iniziato da poche persone, in una nazione in costante guerra che ha fatto però la differenza per molte persone e che può fungere da esempio e da spinta per la società mondiale: un mondo dove giovani donne vittime di violenza non vengono tutelate ma diventano addirittura vittime di bullismo, come è più volte successo negli Stati Uniti e testimoniato dal documentario Audrie & Daisy, le cui protagoniste – rispettivamente di 15 e 14 anni – non solo non sono riuscite a ottenere giustizia, ma sono state violate psicologicamente dopo esserlo state fisicamente. Una società dove la mentalità presente spinge a usare come prova di innocenza in un processo per stupro il fatto che la ragazza – di 17 anni – indossi un tanga: fatto, questo, avvenuto lo scorso novembre in Irlanda.
Elena Sofia Ricci
[1] https://cityofjoycongo.org/about-city-of-joy/origins-city-of-joy/