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«Oggi sarò un duro»: un finocchio che doveva essere uno spaccone

Disegno di Giulia Pedone

Il caso Eddy Bellegueule (Bompiani, 2014) racconta l’infanzia di un ragazzino omosessuale in un piccolo paese al nord della Francia tra razzismo, omofobia e riscatto sociale: la diversità, qui, è solo per i pédé. E quindi beccati questo. 

Nella scuola media di Eddy c’è un corridoio che porta alla biblioteca. Non ci va mai nessuno e quindi il giovane ragazzino di dieci anni si nasconde proprio lì e si sente al sicuro da due bulli che lo tormentano. Un giorno, però, i due lo incontrano e gli chiedono: Sei tu il frocio?

«Pronunciando queste parole, le avevano incise in me per sempre come uno stigma. […] L’impossibilità di liberarmene […]» [1].

Beccati questo, e poi uno sputo sulla faccia del protagonista, «giallo e denso, come il catarro sonoro che ostruisce la gola dei vecchi o dei malati, dall’odore forte e nauseabondo» [2] .

È con un incipit folgorante – «Della mia infanzia non ho alcun ricordo lieto» [3] – che si apre Il caso Eddy Belleguelle, romanzo autobiografico di Édouard Louis. Un patto con il lettore cadenzato su note che, lungi dal tratteggiare un’immagine stereotipata di infanzia come momento felice, chiarisce la sua cruda realtà, semplicemente perché «la sofferenza è totalitaria: ciò che non rientra nel suo sistema, lo fa scomparire» [4].

Il ragazzino protagonista del romanzo che si prende uno sputo in faccia, non è solamente vittima di bullismo perché considerato un finocchio, ma è anche colui che vive in un piccolo paesino al nord della Francia, in Piccardia, dove gli abitanti sono accomunati da un onnipresente culto del maschio e da un disprezzo della figura femminile, utile solo a lavare piatti, a soddisfare bisogni erotici e a fare figli. Una realtà caratterizzata dal disprezzo per la diversità, qualunque essa sia (religione, colore della pelle, gusti sessuali).

Immaginate come deve sentirsi un bambino a vivere in un paese così: un bambino che non ama il rap, il calcio e tutte le cose da maschi, figa compresa, ma che preferisce truccarsi, usare gli abiti della sorella e ballare ascoltando le canzoni del varietà. Quel bambino è proprio l’autore del romanzo, ma non si chiama più Eddy Bellegueule.

L’autore, infatti, ha deciso di eliminare tutte le tracce del suo passato, della sua infanzia e, soprattutto, del milieu in cui è nato e cresciuto. E, per farlo, il cambio del nome è stato necessario, elemento ineludibile per una nuova rinascita. 

Elemento paratestuale di fondamentale importanza, il titolo costituisce una soglia, per dirla con il termine di Genette, da analizzare con attenzione. Il titolo francese è En finir avec Eddy Bellegueule che, tradotto letteralmente, suonerebbe Per finirla con Eddy Bellegueule: mettere un muro tra l’ieri e l’oggi, quindi. Il titolo italiano invece è Il caso Eddy Belleguelle: al di là del caso editoriale che in Francia il libro ha suscitato [5], il termine caso implica quasi un discorso psicologico di stampo freudiano.

Al di là delle sfumature del titolo nelle sue traduzioni, entrambe sottolineano il passato che viene in qualche modo richiamato, analizzato e, una volta descritto nelle sue dure verità, annullato e finalmente cancellato. L’intento progettuale alla base del romanzo di Belleguele, pardon, Louis, è proprio quello di raccontare l’infanzia e la prima adolescenza – terribile, come si diceva – per dimenticarla. Ora studia all’ École normale supérieure de Lyon, ha ventuno anni, abita in città e fa lo scrittore.

Un bambino effemminato, quindi: «smettila di fare moine», gli urla la madre in continuazione. L’onomastica, per Eddy, è un’ennesima sberla. «Bellegueule», letteralmente, in francese vuol dire “spaccone”, “faccia tosta”. Il padre è fiero del suo primo figlio – maschio, per fortuna – con un cognome così rispettabile, da duro. Peccato però che il figlio sia magrissimo, ha spesso giramenti di testa e, comportandosi da femminuccia, attira su di sé tutte le prese in giro di uomini e donne del paese che lo considerano un pédé che, in italiano – o meglio, nella lingua di chi non conosce altri termini se non quelli offensivi e dispregiativi – equivale all’essere un frocio.

Cresciuto in ambiente simile è inevitabile come Eddy cerchi in tutti i modi di nascondere – o di non voler vedere – la propria sessualità, il suo essere così diverso. Paradossalmente, essendo abituato ad un contesto in cui la virilità tossica e la misoginia la fanno da padrone, inizia ad odiare gli omosessuali, arrivando perfino a dare del ricchione ad un suo compagno di scuola provocando l’ilarità di tutti. In quel momento si sente potente, uguale agli altri.

In una famiglia che fa di tutto per trasmettere il messaggio che essere gay è anormale, il giovane Eddy vuole allontanare da sé l’idea di essere omosessuale, nonostante siano palesi alcuni atteggiamenti che segnalano una sessualità diversa, o almeno considerata tale dalla mentalità eterocentrica di un sobborgo popolare francese.

Un giorno Eddy è con suo cugino e due suoi amici. Il cugino, più grande del protagonista di circa cinque anni, trova un dvd porno del padre e decide di guardarlo insieme ai compagni per una sega in compagnia. Eddy è schifato all’idea – inutile sottolineare quanto il suo atteggiamento nasconda, in realtà, un senso di attrattiva repulsione tipico dell’età infantile e pre-adolescenziale – ma, dopo un po’, si lascia convincere. Tuttavia da una masturbazione di gruppo nasce un gioco diverso che, dietro ad un titolo infantile – Giochiamo a fare uomo e donna – nasconde un vero e proprio atto sessuale, il primo rapporto di Eddy. Sono tutti ragazzi, certo. Ma non è una cosa da froci secondo Eddy e secondo i compagni, proprio perché fatta con quella virilità e quell’arroganza mista a ignoranza, che permette di osservare le cose con un punto di vista distorto. Ecco che basta un semplice anello o un orecchino per trasformare Eddy, un giovane ragazzino di dieci anni, in una donna: «[…] Mio cugino mi ha abbassato i pantaloni e mi ha dato uno degli anelli che avevo portato Ah, prendi qua, metti l’anello se no non serve a niente». [6]

E poi: 

«Ho sentito il suo sesso caldo contro il sedere, poi dentro di me. Mi dava degli ordini Apri, Solleva un po’ il culo.Ubbidivo a tutte le sue richieste con l’impressione di realizzare e diventare finalmente quello che ero […]». [7]

Quel gioco – voler imitare il porno appena visto – non solo dà il via ad una serie di pomeriggi scoperecci («Fu l’inizio di una lunga serie di pomeriggi in cui ci riunivamo per riprodurre le scene del film e ben presto le scene di altri film visti nel frattempo […] [8]), ma è stato anche il momento nel quale Eddy ha avuto l’impressione di mostrarsi, per la prima volta, per quello che è. Di fatto, il sesso con il cugino è un atto fondamentale nella bildung del giovane. 

A scuola però si sparge la voce: il cugino ha raccontato la sua verità, ovviamente una bugia, per far sì che Eddy sia ora, davvero, il bersaglio omofobo di una scuola media. Non più l’atteggiamento, il modo di vestirsi, le moine, come le chiamava la madre; ora Eddy si è macchiato del peccato più grave: «Smettila di contar balle, finocchio, lo sappiamo che è vero». 

Per Eddy inizia un periodo orribile, fatto di insulti in paese e bullismo nella scuola. Si sveglia e ogni mattina e, guardandosi allo specchio, pronuncia ad alta voce quello che diventa una sorta di imperativo categorico: «Oggi sarò un duro».

Ma è impossibile. Ormai sei segnato a vita in una realtà del genere. Sei un finocchio, una troia: lo sei per i tuoi compagni di classe e lo sei anche per i tuoi genitori. L’unica soluzione, ora, è la fuga. Eddy viene preso in una scuola in città, lontano da una realtà provinciale che ha segnato negativamente tutta la sua vita. Il liceo, quindi, oltre a rappresentare un riscatto sociale (Ah, adesso addirittura fa la maturità, il saputello), è la possibilità di allontanarsi dalle sue radici disagiate.

Il romanzo di Louis, in gran parte autobiografico, però non è un atto di accusa: il lettore non ha di fronte a sé centocinquanta pagine di ricerca di lamentele, di racconti di abusi e violenze, di rievocazione di eventi traumatici che hanno condizionato irreversibilmente l’esistenza di un ventunenne francese. Poi, e va detto, il punto di vista non è neanche quello di chi, ormai colto, appartenente ad una classe borghese, racconta la sua realtà di periferia con toni di moralismo un po’ snobista. 

Il caso Eddy Belleguelle si configura, invece, come un racconto veritiero dell’infanzia di un ragazzo vissuto in una realtà periferica. Spesso, infatti, lo stesso protagonista è come se giustificasse i propri bulli o il padre, proprio perché in quel paese era l’abitudine, la prassi: inutile combattere, urlare i propri diritti dietro ad una banalissima bandiera arcobaleno o dietro alle spiegazioni sull’orientamento sessuale. Lì, purtroppo, la legge è questa. E non si cambia: se ti va bene, lo accetti, altrimenti te ne puoi andare.

Ecco perché è inevitabile la fuga in città, nella vita vera. Ed è lì, in un liceo di ragazzi che studiano teatro e materie umanistiche – insomma, roba da pédé, direbbero gli ex compaesani di Eddy – che il giovane si sente al sicuro:

«Siamo nel corridoio, davanti alla porta centodiciassette, in attesa dell’insegnante, madame Cotinet. Arriva qualcuno, Tristan. Si rivolge a me. Allora, Eddy, sei sempre così frocio?
Gli altri ridono.
Anch’io». [9]

Se l’incipit del romanzo era segnato da quella domanda violenta, arrogante – Sei tu il frocio? – ora, la stessa domanda, viene modulata in maniera diversa. E la partecipazione alla risata, questa volta, segna il distacco definitivo con il suo passato, in un’atmosfera di compartecipazione empatica, all’insegna di un patto silenzioso stipulato con i suoi nuovi amici: ora, del suo essere frocio, Eddy può riderne con i suoi compagni, intelligenti, colti, dotati di un’ironia brillante. Ha trovato, finalmente, il suo posto nel mondo: «Qui i ragazzi si baciano per salutarsi, non si stringono la mano, hanno delle borse di pelle, hanno lineamenti delicati, tutti avrebbero potuto essere trattati da froci alle medie […]» [10]

Alessandro Crea


[1] É. Louis, Il caso Eddy Bellegueule, Bompiani, 2014, p.13
[2] É. Louis, Ivi, p. 11
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] In Francia ha venduto più di duecentomila copie. Fonte: https://www.huffingtonpost.it/giuseppe-fantasia/caso-eddy-bellegueule-gay-francia-bestseller_b_5569960.html
[6] É. Louis, op. cit., p. 118
[7] Ibidem
[8] É. Louis, Ivi, p. 119
[9] É. Louis, Ivi, p.169
[10] É. Louis, Ivi, p. 167

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