Vai al contenuto

La “Trilogia della villeggiatura”: essere ciò che non si è

Disegno di Giulia Pedone

Rappresentata per la prima volta nel 1761, la Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni racconta le vicende di quattro giovani prima, durante e dopo un’estate passata in “villeggiatura”, luogo emblematico della libertà, della passione e della spensieratezza in cui è facile apparire diversi da ciò che si è, ieri come oggi.

È il 1761 e Carlo Goldoni, che da sei anni lavora per il teatro San Luca, è alla ricerca di nuovi stimoli creativi. Alla vigilia della sua partenza definitiva per Parigi, l’autore veneziano sente il bisogno di cercare nuovi spazi e occasioni di lavoro più stimolanti: parte per Roma, torna a Venezia, cerca di andare a lavorare a Napoli per poi arrivare alla Comédie italienne di Parigi nel 1762.

Nonostante il suo atteggiamento inquieto, ma sinonimo di una fervente attività mai ininterrotta, in questi anni Goldoni scrive per il teatro di San Luca e per la sua compagnia dei veri capolavori come La trilogia della villeggiatura. Innanzitutto, occorre soffermare l’attenzione sulla struttura drammaturgica di natura episodica; tale scelta, infatti, permette a Goldoni di lavorare in modo diverso, influenzato anche dalle nuove tecniche romanzesche che ormai si stavano diffondendo nelle pratiche di lettura. 

Come scrive lo stesso Goldoni ne L’Autore a chi legge del primo volume: 

«Ho concepita nel medesimo tempo l’idea di tre commedie consecutive. La prima intitolata: Le Smanie per la Villeggiatura; la seconda: Le Avventure della Villeggiatura; la terza; Il Ritorno dalla Villeggiatura. Nella prima si vedono i pazzi preparativi; nella seconda la folle condotta; nella terza le conseguenze dolorose che ne provengono. I personaggi principali di queste tre rappresentazioni, che sono sempre gli stessi, sono di quell’ordine di persone che ho voluto prendere precisamente di mira; cioè di un rango civile, non nobile e non ricco; poiché i nobili e ricchi sono autorizzati dal grado e dalla fortuna a fare qualche cosa di più degli altri. L’ambizione de’ piccioli vuol figurare coi grandi, e questo è il ridicolo ch’io ho cercato di porre in veduta, per correggerlo, se fia possibile.» [1] 

La concezione della trilogia è quella di tre commedie che rappresentino tre momenti diversi della vita degli stessi personaggi. Goldoni divide la macrocommedia in tre commedie che raccontano rispettivamente il prima, il durante e il dopo dell’estate passata in villeggiatura. Ciò permette sia di rispettare il limite delle ventiquattro ore della poetica classicista – ogni commedia infatti inizia e si conclude in un arco di tempo molto limitato – ma, allo stesso tempo, la struttura episodica permette di evidenziare il mutamento, la crescita dei personaggi e la loro Bildung: anche se qui, in realtà, la maturità si compie solamente per un personaggio.

Al di là delle questioni teoriche, è interessante soffermarci sui protagonisti delle commedie, sottolineando come sia facile creare una sorta di parallelismo e di legame tra la società di quel lontano 1761 e la contemporaneità più attuale.

È necessario ribadire con precisione il cronotopo elettivo di Goldoni, ovvero la vacanza, il periodo della villeggiatura, un tema già affrontato in Goldoni (v. La cameriera brillante, 1754), ma che nella trilogia del ’61 assume il suo carattere più evidente. Occorre anzitutto individuare cosa rappresenti la villeggiatura per un autore come Goldoni. Ad una prima lettura, il periodo di vacanza è caratterizzato da un’esagerazione del comportamento umano, da un allentamento dei controlli famigliari e sociali che, come nel caso de La trilogia, porta ad un tracollo finanziario e ad una disarmonia famigliare. Inoltre, il luogo della vacanza può essere letto come un luogo del possibile, vale a dire laddove la realtà culturale, sociale e affettiva dei personaggi può assumere una configurazione totalmente deviante, soprattutto rispetto ad una condotta normalizzata che riguarda la vita quotidiana cittadina: in villeggiatura, dunque, si rallenta il controllo ed emergono comportamenti diversi.

Al centro dell’intrigo delle tre commedie ci sono le vicende sentimentali, relazionali, finanziarie ed economiche di quattro giovani: Giacinta, Leonardo, Vittoria e Guglielmo. Se i ragazzi hanno all’incirca diciotto anni, Giacinta e Vittoria sono non più che sedicenni. È utile ricordare la giovane età dei protagonisti poiché non è possibile chiedere a questi personaggi la maturità di ragazzi maturi e responsabili; sono infatti giovani che si trovano improvvisamente catapultati in una condizione di vita nella quale devono prendere delle decisioni esistenziali che marcheranno la loro esistenza.
Un elemento imprescindibile da sottolineare è l’assenza di una vera e propria autorità paterna. Se Giacinta ha un padre che è incapace di gestire la propria famiglia poiché intento a dissipare il proprio patrimonio volendo fare la vita “dei ricchi”, Leonardo e Vittoria, fratello e sorella, sono orfani, e il giovane, essendo maggiorenne, è il tutore di sua sorella. 

Essendo i giovani privi di punti di riferimento che possano insegnare loro i veri valori della vita, la gioventù rappresentata da Goldoni è una gioventù incosciente e immatura, che nell’ansia di apparire e di vivere al di là dei propri limiti – e delle proprie responsabilità – ben presto finisce in una situazione di fallimento finanziario
La giovinezza dei protagonisti mista ad una voglia di vivere abbastanza superficiale e concentrata sulle apparenze si rifrange in atteggiamenti di puro egoismo e di invidia. Il personaggio di Vittoria, ad esempio, è quello di una giovane viziata che si costruisce attraverso una costante rivalità nei confronti degli altri, una competizione in particolar modo con Giacinta e che la porta ad una visione egoistica del suo rapporto con il fratello, dei quali dissesti finanziari appare del tutto disinteressata.

Oltre al dissesto finanziario – che ne La trilogia va di pari passo con le vicende relazionali dei protagonisti, complicate anch’esse – un elemento strutturale dell’opera goldoniana del ’61 è quello che si deduce da uno dei concetti chiave della teoria di René Girard, ovvero le désir mimétique, quel desiderio che hanno le persone di essere come gli altri. 

È proprio questo, forse, l’elemento che lega di più l’opera di Goldoni alla contemporaneità. Ieri come oggi, infatti, gran parte degli esseri umani, influenzati da una società sempre più caratterizzata dall’apparenza, dal mostrarsi sempre al meglio, e da canoni che fanno della perfezione e della ricchezza dei veri e propri paradigmi, cerca di vivere senza consapevolezza della propria individualità, conformandosi ad un sistema che sempre più punta al culto dell’immagine: un processo imitativo cui hanno ultimamente contribuito in gran parte anche i social.

Ecco che nella trilogia goldoniana questo atteggiamento è portato all’estremo, proprio per sottolinearne le storture e i disvalori. Ne La trilogia, infatti, l’imitazione è soprattutto una volontà di ottenere quegli oggetti che simbolicamente rappresentano ciò che sono gli altri, coloro diversi da me ma ai quali voglio compararmi, rendendomi così simile a loro.

Se oggi può essere un nuovo modello di cellulare o di computer, una macchina o, perché no, una forma fisica considerata perfetta, in Goldoni è ad esempio la moda o il divertimento sfrenato della villeggiatura, emblematico di una classe ricca e borghese che si discosta dal ceto mercantile che anima Le smanieLe avventure e Il ritorno
Qui i protagonisti imitano ciò che non sono e cercano di farlo in tutti i modi: è un desiderio incontrollato il loro, una volontà di avere a tutti i costi lo stesso habitus sociale dell’aristocrazia, ed ecco che questi piccoli mercanti sono condotti dal loro desiderio in quello che è un fallimento finanziario assoluto – continuando a spendere per apparire perdono tutto, i giovani e anche gli adulti –, ma anche una perdita di valori morali che sono costitutivi della loro classe produttiva, sempre più rovinata da questo desiderio costante di apparenza. I personaggi goldoniani invece di concentrarsi su una produzione di ricchezza, una stabilità finanziaria, un limite dato ai desideri e ai bisogni lussuosi, non fa altro che porre quest’ultimi come obiettivo assoluto da ottenere. Attraverso la rappresentazione del desiderio incontrollato Goldoni rappresenta dei casi esemplari di crisi identitaria di alcuni individui, personaggi che preferiscono apparire quello che non sono: desiderabili, libertini, persone che vivono di rendita, oziosi, individui che desiderano gli oggetti dell’aristocrazia come, ad esempio quelli simbolici della moda.

Un altro aspetto legato al désir mimétique di cui si diceva è senz’altro quello legato alla seduzione, all’atteggiamento di conversazione erotizzante. La libertà di seduzione è un tratto caratteristico dell’aristocrazia e non certo del ceto mercantile, che ha valori comportamentali ben diversi quali l’onore e il rispetto affettivo degli accordi matrimoniali. Ne La trilogia, però, soprattutto attraverso il personaggio di Guglielmo, si vede come questi valori siano ormai tracollati e la libertà seduttiva diventa un altro esempio di imitazione dell’aristocrazia: questi personaggi diventano personaggi che non si concentrano su quello che è il valore della loro classe, ma assumono come propri i disvalori della classe aristocratica e li amplificano. Essi non hanno i mezzi per sostenere i vizi aristocratici e nella loro caduta coinvolgono tutta la struttura famigliare. 

Al termine della trilogia nessun personaggio cresce o matura, ad eccezione di Giacinta. Certo, un ristabilimento dell’ordine è offerto dal personaggio di Fulgenzio, ma tutti i giovani – esclusa Giacinta – rimangono nella loro condizione di ingenua superficialità.

Il personaggio femminile è importante perché viene colto nelle tre commedie in un processo evolutivo fondamentale. È l’unico personaggio, infatti, che ha un’evoluzione psicologica e che arriva a comprendere i propri errori, passando da essere una ragazzina viziata e superficiale ad una donna con un ritorno di coscienza, consapevole del proprio essere e ormai realizzata. Ma come può Giacinta realizzarsi? La realizzazione di sé è qui legata alla possibilità di realizzarsi in quanto soggetto autonomo e individuo pensante, capace di capire quelli che sono i limiti e l’etica del nucleo sociale al quale appartiene. La realizzazione di sé è il rifiuto di quella che era prima, il rifiuto della logica di imitazione. È quella la vittoria di Giacinta, la possibilità ora di divenire un soggetto, un’individualità, laddove gli altri personaggi continuano ad essere imitatori anonimi, destinati a perdere ogni coscienza di sé.

Giacinta conquista un’individualità e un’autonomia che gli altri non hanno e ciò viene indicato magistralmente nel monologo finale de Le avventure della villeggiatura. Metateatralmente parlando il personaggio di Giacinta si crea un proprio spazio personale, la possibilità di un’intimità in cui esprimere il proprio intimo. Giacinta rifiuta di dire il monologo che Goldoni le ha preparato e conquista un’autonomia anche come personaggio:

«Lode al cielo, son sola. Posso liberamente sfogare la mia passione, e confessando la mia debolezza…Signori miei gentilissimi, qui il poeta con tutto lo sforzo della fantasia aveva preparata una lunga disperazione, un combattimento di affetti, un misto d’eroismo e di tenerezza. Ho creduto bene di ommetterla per non attediarvi di più. Figuratevi qual esser puote una donna che sente gli stimoli dell’onore, ed è afflitta dalla più crudele passione […]» [2]

Giacinta decide di liberarsi dalle parole di un autore uomo che cerca di descrivere il suo intimo, cosa impossibile. Ecco che allora si rivolge direttamente agli spettatori, chiedendo di immaginare ciò che ha dentro di sé. Il personaggio di Giacinta si libera dai fili che lo guidano e che lo controllano, decidendo di rifiutare ciò che l’autore ha volutamente scritto. È un’autonomia non solo del soggetto, ma anche del personaggio, e in questo Giacinta è davvero una figura unica non solo nell’opera goldoniana, ma nel teatro settecentesco tout court. In un mondo basato sull’apparire e sul desiderio di essere ciò che non si è, Giacinta insegna il coraggio della diversità e della consapevolezza del proprio essere. Un insegnamento necessario, ieri come oggi. 

Alessandro Crea


[1] C. Goldoni, La trilogia della villeggiatura [1761] in C. Goldoni, La trilogia della villeggiatura, Rizzoli, Milano, 2019, p. 68
[2] C. Goldoni, La trilogia della villeggiatura, op. cit., p. 233

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.