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Il Museo Atlantico: l’originale dialogo tra arte e vita marina

Nel 2017 è stato inaugurato il primo museo d’arte subacquea in Europa. Situato a largo di Lanzarote, il Museo Atlantico è destinato a durare un centinaio d’anni ma è in realtà in costante evoluzione per la stessa natura che lo contraddistingue: la collocazione su un fondale marino.

Disegno di Elena Sofia Ricci

Il Museo Atlantico si trova a circa 12 metri di profondità sul fondale dell’omonimo oceano presso la Riserva Mondiale della Biosfera UNESCO di Lanzarote (Canarie, Spagna). È stato installato, dopo ben tre anni di pianificazione, nel 2016, per essere poi ufficialmente inaugurato nel gennaio 2017 dal governatore e ministro del Turismo di Lanzarote, Pedro SanGinés Gutiérrez, animato da entusiasmo per il progetto tanto da arrivare a definirlo un momento di svolta rispetto alla propria isola e al suo farsi strada nel XXI secolo.

Il museo è stato ideato e creato dallo scultore Jason deCaires Taylor, noto soprattutto per le sue installazioni subacquee. Occupa uno spazio di 50x50m e ospita più di 300 calchi a grandezza naturale realizzati con particolari miscele di materiali dalla lunghissima durata, che diventano sede ideale per lo sviluppo di coralli (usati anche come componenti interni alle opere scultoree) e per le specie ittiche del luogo, permettendo di creare nuovi ecosistemi. Le statue sono posizionate in modo scrupoloso, così da evitare le correnti, e diventano punto di ritrovo per banchi di pesci come barracuda, sardine, polipi e rari squali angelo. 

Gli amanti dello snorkeling che andranno a visitare il sito si troveranno così di fronte a un originale intreccio di arte e vita marina che, insieme, si fanno portatori di messaggi sul sociale e sulla sostenibilità

Questo progetto, infatti, lancia un appello rispetto alla sostenibilità delle risorse umane e alla preservazione degli oceani, e inoltre, tramite i soggetti delle sculture che fanno parte dell’installazione, mette in risalto tematiche sociali e politiche. Esempio lampante è l’opera The raft of Lampedusa (“La zattera di Lampedusa”), dello stesso Jason deCaires Taylor. 

L’artista è uno scultore britannico di fama mondiale conosciuto per le sue straordinarie opere distribuite sui fondali marini, che vanno dalla Spagna, al Messico fino all’Australia. I suoi lavori a Granada sono inseriti tra le “25 meraviglie del mondo” del National Geographic. Come si è accennato a proposito del Museo Atlantico, Taylor realizza delle opere che non solo non disturbano l’ecosistema marino, ma anzi vanno a proteggere le barriere coralline locali e a incrementare la biomassa degli stessi ecosistemi, rappresentando un vero e proprio incentivo alla biodiversità.

Taylor utilizza infatti come materiale principale un cemento a pH neutro che favorisce appunto la crescita dei coralli locali, spesso danneggiati a causa del riscaldamento globale, se non per via di uragani e altre catastrofi naturali.

L’installazione The raft of Lampedusa, che è ispirata come il titolo evidenzia – alla Zattera della Medusa di Théodore Géricault, rappresenta il calco di un’imbarcazione che porta con sé tredici figure in gesso: sono rifugiati protesi tutti verso un destino sconosciuto.

I connotati dei loro volti non sono di fantasia, bensì ispirati a reali profughi. C’è chi è già disteso e distrutto dalla fatica, chi è ritratto assorto nei propri pensieri, chi ancora ha lo sguardo di speranza verso il futuro. Un cenno particolare va al protagonista dell’opera scelto da Taylor e che ritrae Abdel Kader, un rifugiato che nel 2000 – ancora un bambino di 13 anni – aveva compiuto il suo lungo viaggio in barca da Laayoune, nel Sahara occidentale, fino a Lanzarote. Il titolo dell’installazione, invece, fa chiaramente riferimento a un’altra sede di sbarco, una delle mete “predilette” per coloro che cercano di approdare in territorio europeo, Lampedusa.

Si segnalano altre due opere dell’artista conservate presso il Museo Atlantico che affrontano temi molto cari a Taylor e per questo ricorrenti nei suoi lavori, Crossing the Rubicon e The Human Gyre.

Quest’ultimo è un monumento alla piccolezza umana: si tratta di duecento semplici calchi di persone a grandezza naturale che, sparsi sul fondale, sono metafora della fragilità e “pochezza” dell’uomo rispetto alla vastità dell’oceano, incredibile fonte di ossigeno e nutrimento per milioni di vite.

Crossing the Rubicon è invece un’installazione costituita da 35 figure che si dirigono – chi al telefono, chi con lo sguardo puntato sul terreno – verso una parete marina, un muro imponente che si estende per 30 metri di lunghezza e 4 di altezza. Il titolo contiene già in sé il messaggio che Taylor vuole mandare: l’umanità sta “attraversando il Rubicone”, ovvero un punto di non ritorno rispetto al mondo che la ospita, un mondo che viene continuamente modificato e danneggiato dall’azione dell’uomo che si mostra incurante rispetto all’ambiente. Nella realtà non esiste un muro, una barriera, come il calco che si trova nell’Atlantico: tutti facciamo parte dello stesso e unico ecosistema, dalla terra al mare, e dovrebbe essere interesse comune prendersene cura.

Marta Casuccio

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