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So please, please, please… Vittorio Sereni and The Smiths a confronto

Un confronto tra una poesia di Sereni e una famosa canzone degli Smiths: due “preghiere” alla ricerca di speranza in una vita tormentata.

Fotografia di Matthew Henry

Due testi brevi a confronto: uno musicale e l’altro poetico, il primo inglese e il secondo italiano. Please, please, please let me get what I want è una delle canzoni più conosciute della rock band inglese The Smiths, apparsa come colonna sonora in diversi film, come (500) giorni insieme di Marc Webb con Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel, e di cui sono state realizzate molte cover. La ballad del 1984 venne pubblicata come b-side di un altro singolo, William, it was really nothing, piuttosto diversa nel sound, e questo ne ha inizialmente ostacolato la diffusione. Please, please è la melanconica preghiera per un cambiamento, la canzone perfetta per cullarsi in un mood amareggiato dalla vita e i suoi tormenti.

Anni dopo è una poesia di Vittorio Sereni, contenuta nella raccolta Gli strumenti umani (1965), successiva alle prime raccolte Frontiera e (1941) Diario d’Algeria (1947). In questi primi lavori Sereni racconta la sua esperienza in guerra e come prigioniero per due anni nel continente africano, a cui è seguito un lungo momento di silenzio, prima della pubblicazione degli Strumenti umani. Il poeta cercava nel silenzio un rimedio al trauma vissuto: per Sereni non c’era posto per la poesia nell’elaborazione mentale di quel periodo. È solo nel 1965 che appare, quindi, la terza raccolta, in cui ancora è presente il tema del difficile passato, ma ormai superato grazie anche al ritrovamento della voce poetica.

La canzone Please, please degli Smiths rimanda al tema dell’isolamento, della necessità di un cambiamento, della mancanza di fiducia nella vita e del bisogno di superare il passato con nuovi successi: Morrissey, paroliere del gruppo, canta di come la sua anima senta il bisogno di avere davvero ciò che vuole, dopo una vita vissuta senza l’aiuto della sorte. Ecco il primo verso della canzone:

Good times for a change
See, the luck I’ve had can make a good man turn bad

La drammaticità dell’esistenza che si percepisce in Please, please è un tema onnipresente in Sereni, ma nella poesia Anni dopo la tempesta sembra dare una pausa al poeta, il quale scrive nei primi versi:

La splendida la delirante pioggia s’è quietata,
con le rade ci bacia ultime stille.

È come se il trauma fosse rimasto appunto alle spalle, ciò che ossessionava l’autore è scomparso (o forse sembra passato), come si legge dai versi successivi:

E quello, che fino a poco fa quasi implorava,
dall’abbuiato portico brusìo
romba alle spalle ora, rompe dal mio passato

La canzone degli Smiths arriva quindi al ritornello, caratterizzato dall’iterazione, tratto stilistico tipico anche della poesia di Sereni, e dalla preghiera, sempre in linea con i versi sopracitati del poeta, in cui si parla di quello che «fino a poco fa quasi implorava».

So please, please, please
Let me, let me, let me
Let me get what I want this time

Nella seconda strofa di Please, please, invece, si introduce il tema del sogno:

Haven’t had a dream in a long time
See, the life I’ve had can make a good man bad

«A dream» intende certamente un sogno inteso come un’ambizione, ma anche una qualsiasi scintilla di vita, la cui mancanza porta chiunque a perdere la propria umanità. Un trauma come quello di Sereni, un «abbuiato portico brusìo», lo ha ridotto a questo, ad attutire l’intensità della sua vita, a spegnere la voce per un periodo di circa vent’anni, tempo speso senza sognare.

La poesia di Sereni termina con una preghiera, a sua volta, in linea con gli ultimi versi della canzone degli Smiths:

Dunque ti prego non voltarti amore
e tu resta e difendici amicizia.

Teresa David

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