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Un chimico di De André e un legame mancato

Un chimico è un uomo che all’amore e alla sua Primavera contrappone la scienza e i suoi elementi, che vive tra reazioni e legami chimici non comprendendo quelli umani. Fabrizio De André, traendo ispirazione dalle poesie di Edgar Lee Master, racconta la sua storia nel brano dell’album Non al denaro, non all’amore, né al cielo (1971).

Fotografia di @lukas_k

Negli anni ‘40, Cesare Pavese mostrò a Fernanda Pivano la raccolta di poesie Spoon River Anthology del poeta statunitense Edgar Lee Master: in essa il poeta dà vita ad un’immaginaria cittadina americana attraverso le vite e le esperienze dei suoi abitanti, scrivendo i loro epitaffi, le ultime parole che li raccontano. La giovane scrittrice tradusse quelle storie e quella galleria di vite e di morti e la prima edizione italiana uscì nel 1943 per la casa editrice Einaudi.    

Fabrizio De André lesse quest’audace raccolta poetica a diciott’anni e rimase colpito dalla verità di quei personaggi e dalle loro storie. Nel 1971, rielaborò alcuni di quegli originali frammenti di vita nell’album Non al denaro, non all’amore, né al cielo.  Da più di duecento poesie di Edgar Lee Master ne scelse nove e le musicò, creando un vivissimo legame tra poesia e musica. Egli affrontò principalmente due tematiche: la scienza e l’invidia. Nelle canzoni di De André i caratteri, i sentimenti e le vite del poeta statunitense vengono reinterpretati. Questi si reincarnano in personaggi come un malato di cuore, un matto, un giudice e il suonatore Jones. Quest’ultimo mantiene lo stesso nome della poesia originale, gli altri invece acquisiscono nomi comuni con articoli indeterminativi per sottolinearne l’universalità.

Il farmacista Trainor di Masters diventa protagonista di Un Chimico di De André e in lui si manifesta la stessa passione per gli elementi chimici, l’incapacità di accettare, ma soprattutto comprendere, la natura dei precari rapporti umani, contrapposti alla prevedibilità delle reazioni. Un chimico che si rifugia in quelle operazioni che conosce e che può prevedere, lui che «ha potuto sposare idrogeno e ossigeno senza farli scoppiare», rifiuta allora i rapporti umani che non lasciano via di fuga a chi ha paura di cadere.  L’esperienza amorosa viene legata simbolicamente ad una seducente primavera che ricorda quella Botticelliana con i suoi lunghi capelli biondi e il suo misterioso fascino:

«Primavera non bussa lei entra sicura
Come il fumo lei penetra in ogni fessura.
Ha le labbra di carne, i capelli di grano
Che paura, che voglia che ti prenda per mano
Che paura, che voglia che ti porti lontano»

Il Chimico oscilla tra il timore e il desiderio di quella Primavera, spaventato dalla sua indeterminatezza, ma attratto dalla potenza e dalla vitalità del sentimento; alla fine – come si evince dal resto della canzone – prevale il timore che priva il chimico di quell’esperienza che avrebbe potuto allietarlo e forse abbreviare la distanza che lo separa dagli altri uomini. La sua scelta, apparentemente sicura, cela curiosità e forse invidia per coloro che «escono all’amore e cedono all’aprile», vivendo un sentimento che sembra, alla sua mente scientifica, il trionfo dell’irrazionalità.

«Fui chimico e, no, non mi volli sposare
Non sapevo con chi e chi avrei generato
Son morto in un esperimento sbagliato
Proprio come gli idioti che muoion d’amore.
E qualcuno dirà che c’è un modo migliore»

Un chimico dimostra che evitare e temere quella donna con i capelli di grano, la sua Primavera, non è servito a nulla. Alla fine ha incontrato la morte nei suoi stessi reagenti, i suoi unici compagni di vita. Quelle leggi che lo hanno fatto sempre sentire al sicuro, lo hanno tradito e così nella sua ora estrema rinuncia per sempre a quella primavera mai vissuta e nello stesso momento consacra, in modo definitivo, la sua vita alla chimica.

Ludovica Amico

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