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La strana primavera di Magritte: quando la realtà lascia spazio all’immaginazione

Fotografia di Giulio Foderà

René Magritte (1898-1967) è un surrealista: le sue opere, fatte all’apparenza di oggetti banali e caratterizzate da un legame con il sogno, custodiscono significati nascosti. Emblematica dello stile e della poetica dell’artista belga è l’opera Primavera.

Nel periodo che intercorre tra le due guerre mondiali si sviluppa e trova piena realizzazione uno dei movimenti artistici più interessanti del secolo scorso. I suoi caratteri distintivi sono teorizzati nel Manifesto del surrealismo di Andrè Breton, uscito a Parigi nel 1924. In questi, Breton prospetta la rivalutazione di quello che il credo positivista aveva escluso (il meraviglioso, il sogno, la follia, le allucinazioni) e ritiene debba farsi avanti una nuova dimensione: la surrealtà. Soltanto fuori dalla realtà, senza le limitazioni imposte dalla ragione, sarà possibile esprimersi nella pienezza del proprio essere.

Dal punto di vista più strettamente figurativo, l’arte surrealista non è astratta, ma basata sull’accostamento tra oggetti che apparentemente non hanno nulla in comune. Per i surrealisti la razionalità, sebbene possa apparire paradossale, può rendere ciechi e non consente di vedere ciò che c’è al di là delle cose visibili. In questo senso l’universo surrealista è legato al sogno, all’inconscio ed all’immaginazione, come dimostreranno, in campo artistico, i suoi principali esponenti: Max Ernst, Miró, Dalì, e Magritte.

La storia di quest’ultimo famoso pittore belga è segnata dalla terribile morte della madre, che si uccide annegando in un fiume quando il pittore ha appena 14 anni; viene ritrovata con la camicia da notte avvolta sulla testa, un’immagine che il giovane Magritte non dimenticherà facilmente, e che, secondo alcuni, egli riprodusse in alcune delle sue opere più famose, tra cui Les amantes in cui l’uomo e la donna ritratti sono presentati entrambi col viso coperto da un telo bianco. 

La svolta nella sua vita professionale si verifica quando l’artista si imbatte su una rivista in un quadro di De ChiricoCanto d’Amore. L’opera di De Chirico è espressione della cosiddetta “pittura metafisica”, di un’arte cioè che usa gli strumenti delle pittura (la prospettiva, il colore, il chiaroscuro, la proporzione) per rappresentare elementi e idee che vanno oltre l’esperienza sensoriale. Anche Magritte sceglie allora di cimentarsi con quella che è la sua prima opera surrealista: Le Jockey perdu (Il fantino perduto, 1925).

I titoli e le didascalie dei suoi quadri sono profondamente significativi e spesso hanno in sé la chiave di lettura per comprendere la sua poetica; classico è il caso del suo quadro più famoso, una sorta di manifesto dello stile e della filosofia surrealista. Si tratta del Tradimento delle immagini (1929), dipinto in cui viene rappresentata una pipa con la scritta “Ceci n’est pas une pipe” (“Questa non è una pipa”) perché, in effetti, si tratta dell’immagine di una pipa; con un sottile gioco di parole si esprime una grande verità: nulla è come appare, tra realtà e rappresentazione la distanza è inseparabile.

Eloquente è anche il titolo dell’opera la Primavera. E’ una primavera strana, molto diversa dall’esplosione di colore del Mandorlo in fiore di Van Gogh, distante dalla perfezione estetica e rinascimentale della Primavera di Botticelli. Eppure, gli elementi naturali che sono raffigurati nel quadro di Magritte evocano il clima e le caratteristiche peculiari della stagione primaverile: una colomba che vola, un cielo azzurro con qualche nuvola rosa, il verde di un boschetto, le uova in un nido su un muretto in primo piano.

Come sempre, nei quadri di Magritte gli oggetti hanno un forte valore simbolico ed allusivo e sembra adombrino il mistero dell’esistenza e della natura. L’ordinario diventa straordinario: il corpo dell’uccello non è ricoperto da morbide piume come ci si aspetterebbe, ma dalle foglie e dai rami degli alberi che in basso si ritrovano a formare una sorta di foresta boschiva; in primo piano appaiono delle uova bianchissime contenute in una cesta su un muretto quasi a simboleggiare la nascita forse come metafora della primavera che viene; il muretto sembra dividere il quadro in due parti, una vicina allo spettatore, in attesa che le uova si schiudano, ed una sullo sfondo con l’immagine onirica e fantasiosa della piatta colomba senza piume che vola nel cielo di un chiaro azzurro luminoso.

Sia le uova sia gli uccelli sono peraltro elementi ricorrenti nei quadri di Magritte e d’altronde la ripetizione degli oggetti ritratti costituisce un classico dello stile del pittore e della sua strategia espressiva. “Le saboteur tranquille” – così era chiamato Magritte per la sua capacità di insinuare dubbi nel reale – sceglie soggetti solo apparentemente realistici che invece stupiscono perché contenenti dettagli misteriosi, decifrabili soltanto attraverso il funzionamento del cervello e dell’occhio soggettivo di ciascuno.
Naturalmente nulla di ciò che è rappresentato è visibile nella realtà; il pittore, con animo giocoso, trasforma con la sua immaginazione le cose dipinte e fa entrare lo spettatore in un mondo misterioso e fantasioso, che crea empatia fra chi guarda e l’autore dell’opera.

Il quadro dà un senso di speranza e di rinascita, non solo per via di quelle uova che simboleggiano la nascita e la fertilità, ma anche per la luce diffusa che lo pervade. Si tratta di una primavera sui generis, in perfetto stile Magritte. Nella Primavera infatti un uccello, il cielo, le uova, che sono elementi ricorrenti della sua attività (come la pipa, la mela, l’uomo con la bombetta a significare l’anticonformismo), finiscono col rappresentare una firma del pittore che rende unica e assolutamente originale la sua produzione.

Marta Casuccio

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