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La profezia di Roma: la fondazione della città eterna che schiaccia l’amore

Fotografia di Manuel Monfredini
Fotografia di Manuel Monfredini

Publio Virgilio Marone firma nel I sec a.C. uno dei poemi più famosi all’interno della letteratura latina: l’Eneide, celebrazione epica del leggendario eroe Enea, padre dell’ascesa di Roma.

La vita di un uomo nelle mani del Fato: così la profezia che vuole Enea come progenitore del popolo romano muove i fili dell’intera storia. Figlio di Anchise e della splendida dea Venere, Enea è un eroe di grande fama e coraggio che non si separa dai valori che lo contraddistinguono.

Il troiano si distacca da quella che era la propria esistenza fino al momento della predizione e pertanto paradossalmente fugge dal suo attuale presente per potersi concentrare con rigore verso una missione di grandissima importanza. Enea si sta per scontrare con il Fato e con il volere degli dèi: nulla può lui contro questa condizione. Basti pensare al duplice comportamento delle forze celesti verso l’eroe: da una parte il supporto della madre, dall’altra l’ira di Giunone che sull’uomo si scaglia.

Il temperamento del protagonista è senza dubbio coerente e rispettoso, audace nella sua collaborazione e bramoso di gloria. La profezia risulta avere un altissimo valore, temporaneamente contrastato, però, dalla vicinanza della bella Didone regina di Cartagine. Vedova e in promessa di eterno amore al defunto marito Sicheo, la sovrana si ritrova ben presto stregata dalla presenza di Enea tanto da innamorarsene. I sentimenti sono ben ricambiati e si arriva sulla soglia di un matrimonio che tuttavia viene brutalmente annullato dalla comparsa al protagonista di Mercurio. Il dio infatti vuole ricordare a Enea la gloria e la fama che attendono la sua discendenza.

Enea, conscio del valore celato dietro alla propria missione, nonché eroe che si stringe alla propria natura, decide di abbandonare la propria amata. In questo passaggio è come se il figlio di Venere e Anchise vivesse una sorta di epifania dettata dalle parole di Mercurio stesso, ma si evince – seppur forse in maniera più implicita – la nascita di un nuovo amore, più forte e perpetuo: la notorietà e la vittoria di aver dato vita a qualcosa che resterà eterno. L’idea di avere tra le proprie mani il potere di creare qualcosa di così grande.

Tuttavia l’abbandono di Enea non vuole essere un semplice desiderio umano di fama, bensì un fortissimo attaccamento ai doveri che gli sono stati richiesti: l’eroe è consapevole di quanto la profezia abbia una dimensionalità che spezza i confini e si estende sopra le teste degli esseri umani. Il Fato stesso ha indicato Enea come il prescelto e questa responsabilità scaccia a sua volta qualsiasi altro bisogno o desiderio, compresa la potenza non sempre invincibile dell’amore.

Manuela Spinelli

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