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Black Mirror: attraverso l’obiettivo della società

Serie tv americana trasmessa per la prima volta nel 2011, Black Mirror mette in scena alcune possibili degenerazioni della società in episodi inquietanti in quanto realistici. In particolare alcuni episodi mostrano come ogni giorno si applichino meccanismi di censura inconsci, contro gli altri o contro noi stessi.

Un sorriso sempre forzato, false risate di fronte allo specchio, una società in cui il valore personale è definito solo in base ai ratings degli altri, come in una grottesca riproduzione del modello di vita dei social networks. Questo lo scenario presentatoci da un episodio di Black Mirror, serie che delinea alcune preoccupanti – e ancor più inquietanti in quanto verosimili – degenerazioni della nostra società.

L’episodio, dall’emblematico titolo di Caduta libera, mette in scena il declino di una persona ma anche di una visione malata del mondo. Seguendo il percorso della protagonista si capisce come la società delineata sia finta, come censurata. Le persone infatti sono obbligate ad essere felici per piacere, un po’ come nel video di Ho fatto un sogno di Vasco Rossi. È come se ogni conversazione fosse precostruita al solo scopo di ottenere cinque stelle dagli altri. Dalle loro valutazioni superficiali dipende infatti la qualità della vita a cui una persona può accedere.

Ognuno è dunque obbligato, in questo caso, ad un’autocensura. Se tutta la propria vita dipende da giudizi superficiali, spesso dati da sconosciuti – e in un mondo basato solo su questo metodo tutti sono sconosciuti/nessuno può considerarsi davvero un amico – nessuno può esprimersi liberamente. Black Mirror, in questo come in altri episodi, mette in scena direttamente il meccanismo mentale della censura, qualcosa che noi applichiamo ogni giorno senza neanche accorgercene, nei termini che essa ha in comune in tutte le forme d’arte: l’intervento diretto sulle idee e sull’uomo.

Da una situazione iniziale in cui la protagonista, come tutti gli altri, si preoccupa solo di piacere agli altri si passa, attraverso una serie di sfortunati ma quasi provvidenziali eventi, a una progressiva presa di consapevolezza dei limiti imposti da un modello di vita del genere. Decadendo sempre di più agli occhi della società, la donna si trova infine ad essere incarcerata, e proprio in prigione, paradossalmente, ritrova la propria libertà di espressione.

La serie non mostra però solo il modo in cui noi censuriamo noi stessi per essere accettati dalla società, ma anche la censura diretta sugli altri, che sia per odio o per protezione. È così che in Bianco Natale vediamo con che semplicità si possa evitare di vedere qualcun altro che ci è scomodo, semplicemente, come su Facebook, bloccandolo. In questo modo si vedrà solo la sagoma grigia della persona e qualunque suono da questa emesso verrà come ovattato, impedendolo qualunque forma di giustificazione, spiegazione, espressione.

E ancora, in Arkangel, si rende reale la possibilità di evitare che qualcuno veda o senta qualcosa che potrebbe spaventarlo o nuocergli, cosa che inizialmente rappresenta una forma di protezione di una madre verso la figlia, ma che man mano si trasforma in una restrizione alla libertà della ragazza, che, costretta a vivere in un mondo censurato dalle sue brutture, non può farne esperienza liberamente.

Vediamo quindi, anche se in modo estremizzato, come applichiamo la censura su noi stessi e sugli altri, impedendo la visione o l’espressione di ciò che non fa piacere, ciò che le arti hanno sempre cercato di esprimere e ciò che si è sempre cercato loro di evitare; ciò ci fa rendere conto dei meccanismi da cui parte la censura diretta verso le varie forme di espressione.

Elena Sofia Ricci

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