William Turner (1775 – 1851), pittore e incisore romantico inglese, è uno dei paesaggisti più innovativi del suo tempo. È uno sperimentatore (studia le potenzialità del colore, l’evanescenza della luce, gli effetti dello sfumato) ed un artista che coltiva interessi di varia natura e li riporta sulla tela. E’ un viaggiatore. E, in quanto tale, non poteva che visitare l’Italia, tappa imperdibile del Grand Tour così frequente al tempo di Turner.
Turner è un viaggiatore curioso e insaziabile. Come era uso tra i giovani rampolli della nobiltà, anche lui intraprende il cosiddetto Grand Tour, ovvero il giro dell’Europa considerato per molti secoli tappa fondamentale per la formazione personale e che termina immancabilmente con la visita in Italia. L’artista inglese non si limita ad osservare superficialmente i paesaggi che attraversa, il suo sguardo è ampio e accoglie le più diverse prospettive: si interessa di geografia, archeologia, storia, topografia, architettura.
I suoi viaggi per l’Italia sono stati in tutto cinque, dal 1802 al 1840, e, affrontati cronologicamente, fungono da testimonianza della variazione di stile dell’artista che, con gli anni, si approccia sempre più a quello che sarà poi definito come impressionismo, di cui viene considerato l’apripista.
Quello che osserva nel corso dei suoi viaggi, il pittore lo riporta in schizzi ed acquerelli, che diventano quasi un diario per immagini, immagini non soltanto artisticamente rilevanti ma anche utili a comprendere, a posteriori, i cambiamenti delle città nel tempo. Si tratta, comunque, di una pratica comune tra i vedutisti, che così accumulano studi dal vero da utilizzare come modelli per le opere successive dipinte dallo studio. È per questo che Turner, pur nelle opere il cui tema è inglese, riporta emozioni, studi, paesaggi visti nel Belpaese cui si ispira dal punto di vista naturalistico e dal punto di vista monumentale, storico e archeologico. La grandezza dell’Italia fa da sfondo a molte delle sue opere, seppur ad ambientazione britannica.
Egli, ancor prima di partire per il Grand Tour, aveva studiato l’arte classica, la storia e le antichità italiane, che saranno un bagaglio fondamentale per il costituirsi della sua poetica e un esempio ispiratore di molti dei suoi lavori successivi. Una volta arrivato in terra italiana, oltre all’architettura e l’arte, fortemente condizionante è stata per lui quella luce calda e soffusa che illuminerà i suoi capolavori e che rimanda sia alle atmosfere italiane che alla stessa dimensione del viaggio, tipica dei poeti e degli artisti romantici fra i quali il pittore inglese viene annoverato come campione britannico.
Come è noto egli arriva in Italia dalle Alpi, dal Moncenisio, dopo avere soggiornato a Parigi. Scopre quindi i passi montani, la natura impervia, la solenne e imponente forza delle montagne, dei boschi, della valle e dei valichi. In particolare, apprezza la Valle d’Aosta dove vuole tornare successivamente; di quel periodo è il quadro Il Passo del San Gottardo del 1804, in cui viene raffigurata una natura grandiosa ma nello stesso tempo foriera di pericoli, e ricca di insidie.
Quando nel 1819 Turner visita l’Italia per la seconda volta il suo stile si perfeziona e si trasforma; sotto questo profilo assai interessanti sono gli acquerelli sulla traversata delle Alpi e i taccuini e gli schizzi con luoghi, edifici, rovine dove talvolta sono rappresentate anche le stesse figure dei viaggiatori. In questo secondo viaggio, iniziato nel 1819, Turner visita diverse località italiane, tra cui Torino, Milano, i laghi padani, Brescia, Verona, Padova, Venezia, Bologna, Rimini, Ancona, Loreto, Spoleto, Civita Castellana, Roma, Napoli, Paestum, Firenze.
In ognuno di questi luoghi si sofferma su un particolare, una peculiarità. Per citarne qualcuna: la facciata barocca del duomo a Torino, le due torri e lo sfondo della Madonna di San Luca a Bologna, l’eruzione del Vesuvio a Napoli che viene ritratta con un’esplosione di colori, fermando l’anima scoppiettante della città partenopea, l’immagine dell’Arno a Firenze, che intende evidenziare il particolare rapporto tra la città medicea e il fiume che la bagna. Ma, soprattutto, il pittore ritrae più volte e in più casi l’eternità della capitale. È del 1820 il famoso dipinto Roma vista dal Vaticano, in cui Turner ritrae se stesso con la Fornarina con lo sfondo del Vaticano e delle meravigliose monumentalità romane. Non può a questo proposito sfuggire come si colgano in quest’opera le suggestioni raffaellesche e l’amore per la classicità di Turner.
Nel 1828-29 Turner si reca in Italia per la terza volta. Si tratta del periodo vissuto a Roma dove il pittore realizza esposizioni e acquista, per il suo mecenate Lords Egremont, una scultura antica. In questa fase, l’artista realizza alcune delle più ambiziose opere della sua maturità: vedute scenografiche e lavori ad olio in cui comincia a percorrere la strada del cosiddetto astrattismo, per cui luoghi ed edifici ritratti sembrano librarsi sospesi nella luce.
Ancora, nel 1830 e nel 1840 il pittore inglese si reca nuovamente a Roma e poi a Venezia. La città della laguna lo attira per la sua particolarità ed è sito preferenziale per la sua nuova poetica e per quella che diventerà la sua “maniera”, uno stile inconfondibile con elementi allusivi, un sapiente uso del colore e della cromia, una raffigurazione a metà tra la realtà ed il sogno, una pittura al tempo stesso dal vero e dell’interiorità. In quest’attività di grande importanza risulta la presenza dell’acqua della laguna che confonde ed enfatizza la vocazione dell’artista all’indeterminatezza di ciò che viene ritratto.
In questo modo la pittura dell’artista inglese dà vita all’impressionismo ante litteram che spalanca le porte alla modernità.
Marta Casuccio