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E sotto er monumento de Mazzini…Roma e i «ragazzi de vita» di Pasolini

Fotografia di Filippo Ilderico

È un’Italia diversa, “nuova”, quella raccontata da Pier Paolo Pasolini nel suo romanzo Ragazzi di vita: l’Italia delle periferie urbane, con la loro “gioventù bruciata” tra povertà, sogni e piccole crudeltà quotidiane. Il suo è un romanzo che nel 1955, con scandalo e forza di denuncia, rivelò la realtà “diversa” del sottoproletariato romano.

Alberto Moravia, scrittore e amico di Pier Paolo Pasolini, all’indomani della sua tragica scomparsa lo ricorda con queste parole: «[…] Accanto all’amore, in principio c’era la povertà. Pasolini era emigrato a Roma dal Nord, era andato a vivere in un modesto alloggio in periferia, si guadagnava la vita insegnando nelle scuole medie delle borgate» [1]. L’autore de Gli indifferenti sottolinea come sia stata davvero una «scoperta» l’incontro di Pasolini con i sottoproletari delle borgate: sono gli anni Cinquanta e Roma è una città diversa da come era qualche anno prima, devastata in seguito al conflitto mondiale ma che piano piano si sta rialzando, o almeno ci prova.

È proprio Pasolini che per sottolineare quanto forte sia stato l’impatto con la capitale ribadisce: «Roma nella mia narrativa ha quella fondamentale importanza in quanto violento trauma e violenta carica di vitalità […]». Sono questi i termini che possono essere individuati all’interno del romanzo del ’55 pubblicato da Garzanti: una «disperata vitalità» pervade infatti l’ordito narrativo di Pasolini e le vicende dei «pischelli» protagonisti del suo Ragazzi di vita

Il romanzo, coinvolto anche in un processo per il carattere pornografico delle storie raccontate, presenta, fin dall’incipit, il personaggio di Riccetto; ma sono tanti i ragazzi di vita raccontati nell’opera: Amerigo, Caciotta, Lenzetta, Alduccio, Begalone, Genesio e Piattoletta, i «miserabili pischelli» che abitano nelle borgate romane, lontano dal centro e caratterizzati da quell’istinto vitale, da quella voglia di sopravvivenza e di successo che li porta anche all’interno del mondo dell’illegalità, tra piccoli furti e scenari di prostituzione e delinquenza. 

Ragazzi di vita è un romanzo che di per sé non ha una trama, trattandosi piuttosto di un quadro, di uno spaccato di vita di quelle che sono le borgate romane degli anni del dopoguerra, descritte tra l’altro anche ne Le ceneri di Gramsci, la raccolta di poesie di Pasolini pubblicate nel 1957. Tutte le vicende raccontate nel romanzo hanno uno sfondo ben preciso: Roma e la sua periferia, con i palazzi popolari, ma anche le acque del Tevere, il lido di Ostia, in un romanzo in cui l’elemento dell’acqua, principio archetipico della purezza, costituisce un elemento di grande rilevanza sia nella trama del libro e nella costruzione di varie isotopie, ma anche nel suo valore simbolico. 

I ragazzi pasoliniani, miserabili di un’Italia in lotta tra la disperazione e la sopravvivenza, sono caratterizzati da quel vitalismo che è proprio di coloro che rispondono solo ai bisogni primordiali, in un romanzo in cui fame, sesso e denaro diventano come la molla per le varie azioni dei personaggi. 

Il romanzo si sviluppa da un nucleo di racconti composti a partire dal 1950, subito dopo l’arrivo di Pasolini a Roma. Ragazzi di vita procede per episodi ed è per questo che la struttura narrativa risulta priva di un centro tematico unitario. I veri protagonisti sono quei «ragazzi» che danno il titolo al romanzo, che vivono alla giornata, rubando al «Ferrobedò» nel primo capitolo, andando a «mignotte», ricattando il malcapitato di turno e arrivando, sempre per migliorare una condizione di vita considerata grigia e deprimente, a prostituirsi sul Lungotevere, rimorchiati da uomini grandi, che per un rapporto sessuale sono disposti a pagare quel che basta per la giornata. Il cronotopo urbano nel quale si sviluppano le ragazzate di Riccetto, di Caciotta e degli altri protagonisti è la contraddittoria Roma post-bellica, dai luoghi monumentali della città eterna si arriva alle borgate più disagiate e degradate, le stesse che crollano facendo morire la madre di uno dei compagni di scorribande del protagonista. 

Il romanzo può essere considerato un vero e proprio Bildungsroman che segue l’età di passaggio di giovani e giovanissimi romani. I personaggi, raccontati da un narratore esterno che non interviene con commenti personali, sono appena abbozzati, poco definiti, quasi come fossero maschere. Se si volesse cercare un protagonista, forse va proprio trovato in Riccetto, il primo ragazzo che ci viene presentato nel giorno della sua prima comunione: 

«Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare» [2].

Il ragazzo può assurgere a ruolo di protagonista del romanzo proprio per il fatto di essere un personaggio «in divenire» (Bachtin). Il lettore lo segue passo passo nella sua crescita: dapprima delinquente che vive di espedienti insieme ai suoi amici, poi, progressivamente, giovane uomo, cerca di guadagnarsi da vivere lavorando. Ecco perché il romanzo del ’55 entra a pieno diritto nella morfologia del romanzo di formazione. Riccetto cresce, certo, ma, per l’autore, ciò comporta anche una perdita di quel sentimento di umanità che tuttavia caratterizzava i ragazzi delle periferie. Dalla bontà che lo fa gettare nel Tevere per salvare una rondine in uno dei primi capitoli del romanzo, nell’explicit ecco che questa volta il protagonista, come imborghesito, assiste indifferente alla morte del piccolo Genesio, venendosi di fatto a costituire una forte isotopia narrativa con la scena iniziale dell’uccello prossimo all’affogamento.

Questo sentimento di bontà, di profonda gentilezza pur nella miseria di una periferia che non lascia scampo, accomuna tutti i giovani «pischelli» pasoliniani «sempre de prescia»: nonostante il vivere alla giornata in bilico tra la legge, la condotta civile e l’illegalità, Riccetto e gli altri hanno la purezza e l’autenticità del primitivo. Pasolini, in seguito al trasferimento a Roma, conosce e frequenta le borgate e si trova smarrito in un mondo al contempo violento e ingenuo. È un mondo i cui motori sono fame, soldi e sesso, in un’ottica di iperattività primitiva e, proprio per questo, autentica, di cui si apprezza la vitale naturalezza del sopravvivere. 

Alessandro Crea


[1] Alberto Moravia, Introduzione a Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 1975
[2] Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 2016

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