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Tutto è strepito e luce

Fotografia di Filippo Ilderico

La Notte è l’ultima parte del celeberrimo Giorno pariniano, uscita postuma nel 1801. Al suo interno l’autore propone un confronto fra la notte medievale e la notte moderna, contrapponendo i loro tratti distintivi: le tenebre e la luce.

Nella parte posta a conclusione della sua opera più famosa, Giuseppe Parini indaga un’antitesi ancora tremendamente attuale. Ad introdurre il passo in endecasillabi sciolti, è proprio l’antifrasi che lega la notte medievale e quella moderna.

La riflessione dell’autore, che indaga ante litteram il problema dell’inquinamento luminoso, è cara a molti dei nostalgici moderni e contemporanei, costretti a rifugiarsi in campagna per riuscire a vedere il cielo stellato.

E come si crea una contrapposizione ironica fra le due notti tanto lontane nel tempo, se ne crea una anche fra i due carri che dominano le rispettive ore serali. Per la notte medievale, a fare da protagonista è il carro dell’Orsa Maggiore, mentre per quella moderna, il carro che domina la scena altro non è che il mezzo con cui il giovin signore protagonista del poemetto si sposta all’interno delle vie cittadine.

Attraverso questa dicotomia ironica, sempre pienamente inserita nella narrazione pariniana del “giorno tipo” di un aristocratico lombardo, l’autore vuol forse mostrare l’avvilimento della società moderna, negativamente capeggiata dal ceto aristocratico.

Alle tenebre della notte medievale, allora, fanno da contraltare i lampioni delle vie della notte moderna, in un impero delle luci che muta radicalmente la sua anima e si allontana, quasi escludendolo, dal mondo naturale.

Nella notte medievale, le tenebre giganteggiano e sono abitate da animali notturni: solo il “debil raggio” delle stelle e dei pianeti ne rompe la monotonia. Questo scenario è dominato da elementi paurosi, da spettri e da ululati: tutti parte di una notte ormai soffocata dal progresso tecnologico e dominata dall’uomo, che si è ormai impossessato degli spazi urbani anche nelle ore che prima erano ostili, scansando l’atavica paura del buio sotto le luci dell’illuminazione pubblica.

La vena di poeta civile che domina molti dei componimenti pariniani trova qui campo di espressione in una città che si allontana dalla natura e dai suoi pericoli, ma che al contempo rende difficoltoso vedere il manto stellato dietro i lampioni.

La lotta manichea tra luce e tenebre è qui riproposta come distacco fra due civiltà quasi antitetiche, che attraverso l’ironia dell’autore mostrano una delle perdite connesse allo sviluppo urbanistico e alla vita cittadina degli alti ceti.

Diametralmente opposta ai notturni leopardiani, la notte moderna del giovin signore è dominata da incontri amorosi e giochi da tavolo. Gli spostamenti sul carro lasciano spazio alle vie della città, ma mostrano in controluce la perdita del primitivo e forse più poetico impero delle luci: quello della notte.

Giordano Coccia

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