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Parole Inesauribili: Lux Aeterna di György Ligeti

Fotografia di Filippo Ilderico

Dalle sperimentazioni musicali degli anni sessanta emerge una delle composizioni più suggestive dell’ungherese Ligeti: Lux Aeterna, in cui la parola diviene un inestinguibile evento sonoro.

La ricerca musicale di György Ligeti si snoda in continuità e in opposizione con le sperimentazioni musicali degli effervescenti anni sessanta: in quel periodo vengono sperimentati nuovi modi di produrre il suono attraverso strumentazioni digitali; si tentano nuove vie nel sistema di notazione musicale e vengono elaborati complessi apparati grafici in sostituzione del vecchio pentagramma e delle dodici note.

In questo clima di continua scoperta i compositori si muovono lungo una frontiera dove tutto sembra ormai concesso sul piano artistico. Ligeti riparte dalla parola come generatrice di un evento sonoro che non ha mai inizio ne fine ma che è sempre in essere e si propaga nello spazio. La parola è apparentemente immobile e immutabile ma in realtà muta in continuazione. Queste idee sono alla base di Lux Aeterna.

Il testo musicato da Ligeti, dalla messa pro defunctis (“Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tui in aeternum quia pius es. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis”), non è affatto casuale, ma nel suo significato ne rende evidente la poetica compositiva. La musica è parola in quanto essa è costituita per essenza dal suono. Tuttavia elemento musicale, parola e suono non sono, come l’apparenza suggerirebbe, eventi soggetti al divenire, con un inizio e una fine, ma, esplicitando la metafora sottesa a tutta la composizione, una luce eterna che risplende da sempre.

Il brano è scritto per coro misto a sedici voci e strutturato secondo una rigida e complessa geometria interna che non lascia nulla al caso. Le frasi musicali associate a ciascuna voce costituiscono delle emanazioni delle possibilità musicali insite nel testo. A sua volta gli agglomerati sonori associati alle parole si espandono passando di voce in voce.

Nella composizione non prevale quindi né l’aspetto melodico né quello armonico, tantomeno quello ritmico. A dominare incontrastato è l’elemento sonoro che viene costruito tramite un processo definito dal compositore stesso “micropolifonia”: la complessa polifonia delle parti non risalta in blocco e non si svolge in maniera lineare ma ogni voce emerge in continuazione sull’altra. Ogni voce costituisce un piccolo elemento che, amalgamato con gli altri, da come risultante lo spettro sonoro.

Attraverso il recupero del testo della messa pro defunctis Ligeti accosta concettualmente le vibrazioni sonore ai fasci luminosi. Viene messa in evidenza la natura fisica del suono, esso è spogliato da ogni senso artistico, da ogni significato extra-sensoriale. La musica finisce così per abbracciare pienamente la dimensione spaziale a scapito di quella temporale. La musica è ancora un evento che non viene più colto nel suo susseguirsi lineare ma diventa uno spazio da abitare, illuminato da luce sempre diversa in un processo che non è spezzato ma ciclico.

L’insieme delle voci delinea delle grandi fasce sonore, quasi immobili, ma che all’interno brulicano di microscopica vita. Il suono non è un evento limitato ma diviene manifestazione di un processo che è da sempre in essere, rivelando e scolpendo il senso della parola.

Mattia Sonzogni

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