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LA MORTE DI CHARLEY

Opera di Irene Puglisi
Opera di Irene Puglisi

Cosa ne sarà di Charley
Che cadde mentre lavorava
E dal ponte volò e volò sulla strada

Suoni meccanici e metallici scandivano la mattinata del cantiere e dei suoi operai.
Piccoli punti gialli si spostavano da un angolo all’altro trasportando funi, mattoni, calce e attrezzi.
Nessuno si abbandonava a un sorriso o a una risata, i pensieri erano alle famiglie, ai propri cari. I visi contriti, rassegnati al lavoro ripetitivo e poco soddisfacente.
Uomini costretti a lavorare a lussi di cui non avrebbero mai potuto godere.
I movimenti e i suoni ridondanti si dipanavano su uno sfondo colorato di un giallo acre, dovuto ai fumi e alla polvere del cantiere.
Un operaio intonava una melodia malinconica. Le sue parole, coperte dal frastuono, giungevano come un lamento alle orecchie stanche dei lavoratori.
Questo il paesaggio che si delineava sotto ai due uomini che si godevano una pausa, seduti su una trave sospesa a decine di metri di altezza.
Il loro sguardo tentava di scappare a quell’inferno di sudore e fatica puntando al di là delle transenne.
Uno dei due, terminato un modesto panino, si accese una sigaretta, mentre l’altro con sguardo famelico, si avventava su un’insalata di riso.
Il fumatore, con lo sguardo perso, dondolava leggermente i piedi nel vuoto.
– Manco una sigaretta mi riesco più a godere – disse quasi in un sospiro.
L’operaio affamato gli lanciò un’occhiata veloce per poi tornare subito alla sua insalata di riso.
– Tu pensi troppo – disse con la bocca piena – L’unica cosa a cui dovresti pensare è lavorare e fare abbastanza soldi per sopravvivere – si fermò per infilarsi in bocca un’altra cucchiaiata di cibo
– Mi dispiace che te la passi male, io invece dovrei essermi guadagnato una bella promozione, anche se ho dovuto camminare su qualche testa.
– Ma ti senti soddisfatto? Vedi, ogni tanto mi viene voglia di fare qualcosa di eclatante, inaspettato. Mi viene voglia di spezzare la routine. Mi sta uccidendo questa dannata routine. – disse il fumatore avvolto nella nebbia della sigaretta.
– Fare qualcosa tipo cosa?
– Niente di buono, mi vergogno a parlarne, forse sono pazzo, ma se decidessi di farlo rischierei di fare del male a delle persone, anche a quelle che mi stanno vicino, soprattutto loro
– Devi fare quello che è meglio per te. “Ognuno per sé” questo è il mondo in cui viviamo. Nessuno ha il tempo, i soldi o la forza di preoccuparsi degli altri, è così che ho ottenuto la mia promozione ed è così che ho intenzione di ottenerne tante altre. Chi si ritroverà sotto il mio rullo compressore se ne dovrà fare una ragione. O me o loro – ghignò.
– Forse hai ragione tu.
Per un momento nessuno dei due parlò. Rimasero in silenzio noncuranti del frastuono metallico, ormai non più che un brusio alle loro orecchie.
– È solo che ho bisogno di fare qualcosa che voglio fare io, qualcosa che non sia mangiare tonno anziché fagioli, qualcosa di grande. Che sia il primo e ultimo atto drastico e radicale di un uomo che ha vissuto come una macchina –  insisté il fumatore.
L’altro operaio smise di ingozzarsi di insalata, il suo sguardo perplesso si mosse rapido tra il suo interlocutore e il suolo. Per un istante le sue labbra si curvarono in un ghigno, poi si schiarì la voce ricomponendosi.
– Io sono dalla tua parte. Fai quello che devi fare. Per te e per nessun altro. È il potere che conta e l’unico potere che ci è rimasto è quello su noi stessi. Comunque vada, niente e nessuno deve impedirti di fare quello che vuoi.
Il fumatore sospirò di nuovo e puntò distrattamente gli occhi sulla distesa di polvere sotto di lui. Era attraversata da innumerevoli solchi irregolari che si intrecciavano in motivi astratti.
–Non c’è alto modo vero?
– Nessuno ti giudicherebbe, io no di certo almeno – si sfregò le mani come dall’impazienza, il viso rimase inespressivo.
L’altro operaio gettò il mozzicone di sigaretta nel vuoto. Rimase qualche secondo a guardarlo cadere, finché non scomparve avvolto dalla polvere. Poi volse lo sguardo al suo collega, uno sguardo carico di tristezza. Gli posò una mano sulla spalla mentre una lacrima gli rigava lentamente la guancia.
– Grazie mille – disse chiudendo gli occhi.
L’altro operaio lo guardò con finta compassione, rivolgendo rapidi sguardi al baratro sul quale erano sospesi.
– Non ti preoccupare amico mio, ti capisco. Fai quello che devi fare – disse mentre sul suo viso si disegnava lentamente un ghigno sadico, di un uomo pronto ad assistere alla disfatta di un suo collega al solo scopo di crogiolarsi nella sua, seppur misera, vittoria.
Ma l’operaio dagli occhi chiusi, e dal viso ormai rigato da numerose lacrime, invece di abbandonarsi alle grinfie del vuoto, fece pressione con la sua mano callosa sulla spalla dell’altro e mormorò: – Addio Charley, grazie per la promozione.
– Cos… – quale promozione? –  le parole gli si strozzarono in gola.
Charley, fu colto alla sprovvista. Tentò invano di aggrapparsi a qualcosa. Il suo viso, prima pervaso dal sadismo, ora si contorceva in una smorfia di terrore e disperazione. Per un istante gli sguardi dei due operai si incrociarono, uno al sicuro sul metallo della trave, l’altro sospeso, con la morte ad attenderlo. In quella breve frazione di tempo, entrambi compresero la natura paradossale della vicenda. Poi la gravità attirò Charley verso il suo destino.
Un destino in cui era sia vittima che carnefice, coronato da un grido che nessuno riuscì a sentire.
Da un tonfo che, in quel caos, fu come un leggero scricchiolio.
Infine, da un corpo. Il corpo di Charley.

Racconto di Luca Grisolia
Editing di Giorgia Vullo


L’autore
Luca Grisolia
Luca Grisolia

Luca Grisolia è nato il 21 Settembre 1996 ad Aix en Provence da genitori italiani. Dai tre anni in poi ha
vissuto Roma dove frequenta attualmente la facoltà di filosofia dell’Università Romatre.

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