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La temporanea permanenza del capro espiatorio nell’opera di Adrian Paci

Nel 1484 la bolla di papa Innocenzo VIII dà inizio in Germania alla caccia alle streghe. Queste figure scomode, ai margini, si trasformano in oggetto di superstizione, diventando il capro espiatorio per le paure della società, situazione che ha un allarmante risvolto in ambito contemporaneo.

 Le cosiddette streghe – vecchie, brutte, a cavalcioni di scope o caproni, spesso collegate alla figura del diavolo – sono raffigurate come esseri mostruosi. Alternativamente o tutti insieme questi elementi caratterizzano tutte le rappresentazioni dal XV secolo in avanti legate alla tematica.

Un esempio evidente sono le opere di Albrecht Dürer: Quattro donne nude,in cuiun diavolo tra le fiamme fa capolino oltre la porta socchiusa, o La strega sul caprone, animale sacro al Sabba. Una connotazione infernale della rappresentazione stregonesca si trova anche in Lo stregozzo di Marcantonio Raimondi (1524-1527 ca.). E rappresentazioni di questo stampo caratterizzano tutta la tradizione di opere legate alle streghe.

Questi modi di rappresentazione riflettono una visione ormai consolidata, visione che nasce però con un indirizzo specifico: generare un alone di superstizione intorno a queste figure, trasformandole nel capro espiatorio delle paure di un’epoca.

Secondo René Girard la creazione di un capro espiatorio è legata al concetto di imitazione. Gli esseri umani sono portati a desiderare per imitazione di un modello: se l’oggetto del desiderio scarseggia si arriva quindi a una rivalità tra modello e imitatore per il suo possesso e, per il principio di imitazione, la rivalità si estenderà a catena. Questo meccanismo si accentua inevitabilmente nei momenti di crisi. Ecco allora che le rivalità degenerano trasformandosi in un indifferenziato sentimento di vendetta ed ecco affacciarsi il modo per bloccare questa catena e riportare unità: la creazione di un capro espiatorio. Su questa figura o su questo gruppo la società proietta la propria rivalità e il proprio antagonismo attuando meccanismi di violenza o anche, semplicemente, di espulsione.

Quali conseguenze comporta questo meccanismo di psicologia sociale su quelle minoranze scelte come capri espiatori? Se ne può trovare una rappresentazione nell’opera di Adrian Paci, Centro di permanenza temporanea (2007), video che tocca un tema molto attuale: la condizione dei migranti.

Tale tematica è indagata da Paci in varie opere e riflette la sua stessa esperienza: nel 1997 l’artista scappa infatti a Milano, città dove aveva svolto parte degli studi, per sottrarre sé e la famiglia ai disordini in Albania. Da allora si avvicina a un’arte più sperimentale e meno accademica che in precedenza, ideando varie opere incentrate sulla migrazione, l’esodo, la casa, o meglio l’assenza della casa, che risulta non più che uno sfondo piatto, estraneo, lontano dalle figure umane rapportate ad essa. È questa concezione che fa nascere l’opera Home to go (2001), composta di quattro fotografie in cui un uomo cerca di trasportare sulla schiena un tetto al contrario, rappresentativo dell’abitazione, e viene schiacciato dal suo peso. È questo il rapporto che il migrante, il capro espiatorio ha con la casa: non c’è un posto sicuro, la casa è solo quella che è stata lasciata, un peso che ci si porta dietro. Dall’altra parte non c’è nessuna certezza.

In Centro di permanenza temporanea il senso di insicurezza, abbandono, impossibilità di trovare un posto dove stare che non sia, appunto, temporaneo è esplicito nei volti delle persone in attesa: nessun aereo però, nessun approdo li attende oltre la scala su cui si trovano.

Elena Sofia Ricci

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