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Danse Profane: il dissacrante aldilà della musica francese dell’800

La musica francese si contraddistingue fin dalle origini per la rappresentazione razionale di eventi e sentimenti, lasciando ben poco spazio all’elemento irrazionale e favolistico, in conformità al clima culturale permeato dalla filosofia cartesiana e dal cattolicesimo.

L’avvento della cultura illuministica e il rivoluzionario trapasso fra ‘700 e ‘800 sembrano imprimere ulteriore forza a questa tendenza culturale, ma gli impetuosi moti del romanticismo tedesco sono destinati a lasciare traccia anche sulla nascente musica romantica francese. Ecco che la scena si popola di sorprendenti visioni ultraterrene e di spiriti infernali, non con l’intento reazionario di ricreare credenze basate sulla superstizione ma per parodiarli e affermare con più forza la lotta della ragione contro la paura.

È con il Grand Opera, genere operistico di punta sulla scena parigina di primo Ottocento, che un suggestivo mondo fatto di ambienti spettacolari, personaggi terribili e azioni paurose arriva sul palcoscenico. Giacomo Meyerbeer firma i Grand Opera di maggior successo fra il pubblico borghese del tempo inaugurando una nuova stagione con Robert le Diable. La vicenda è ispirata a un’antica leggenda medievale e narra le peripezie di Robert che cerca di sfuggire al patto che il padre Bertram e il diavolo in persona hanno stretto in cambio della sua anima. Meyerbeer sfodera un organico orchestrale capace di dipingere tinte fosche e grandiose, accentuando la tensione drammatica con il frequente uso del coro. Nel terzo atto il tono dell’opera si fa da serioso a dissacrante: Robert giunge alle rovine di un convento abbandonato dove assiste ad un balletto di fantasmi di monache che, guidate dalla loro badessa, escono dalle loro tombe ed intonano un sabba infernale.

Il tema della danza infernale in chiave parodistica non era nuovo al pubblico del tempo. Un anno prima il giovane Hector Berlioz aveva concluso la sua Symphonie fantastique intitolando il quinto movimento della composizione Sogno di una notte di sabba. La sinfonia narra le vicende di un musicista che subisce fatalmente il fascino di una giovane donna. Nel finale Berlioz immagina che il giovane sia trascinato in un sabba di streghe, spiriti e mostri guidati dalla donna amata. Il movimento è articolato in quattro episodi dove ai tratti grotteschi e triviali della danza delle streghe si contrappongo la solenne e lugubre melodia gregoriana del Dies Irae. L’atmosfera viene resa ancora più straniante ed orrifica da soluzioni timbriche inusuali per il tempo come il suono fuori scena delle campane e l’indicazione per gli archi di suonare con il legno dell’archetto.

L’esempio di Berlioz verrà seguito da Camille Saint-Saens con Danse Macabre e da Jacques Offenbach con il Can-Can da Orphéeaux Enfers. Entrambi infatti rielaborano suggestioni da fonti letterarie e iconografiche non per riprodurle nella loro seriosa religiosità, quanto per creare un’atmosfera che spogli la morte e il mondo ultraterreno dalle paure e dalle superstizioni di cui sono ammantati dipingendo un affresco musicale scoppiettante e ammiccante.

Alle soglie del ‘900 anche Debussy si cimenterà con questo filone componendo il dittico Danse Sacrée et Profane per arpa e orchestra d’archi. La prima danza richiama un organum parallelo medievale infondendo reverenza e timore. La seconda danza, ispirandosi a un ritmo di valzer, riporta all’improvviso l’ascoltatore in un mondo gioioso e festante, dove l’atmosfera greve e religiosa viene subito dissolta.

Tramite la collisione di elementi profani e sacri questi compositori riescono progressivamente a portare a compimento la missione che l’Illuminismo e la Rivoluzione non avevano del tutto completato: abbattere le paure e le false credenze che con un’aura sacrale circondavano i grandi misteri della vita e della morte. All’irrazionalità delle credenze popolari contrappongo un mondo sonoro parodistico e dissacratorio, fatto di danze e momenti festosi, ricordandoci, con piglio edonistico, che l’amore per la vita è più forte della paura della morte.

Mattia Sonzogni

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