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La settimana delle meraviglie

Fotografia di Filippo Ilderico, © Filippo Ilderico, 28 febbraio 2019
Fotografia di Filippo Ilderico

Valerie a týden divu è un film diretto dal regista cecoslovacco Jaromil Jireš tratto da Valeria e la settimana delle meraviglie, romanzo di Vítezslav Nezval. La pellicola, girata nel 1970 è una pietra miliare della Nová Vlna, una corrente cinematografica ascrivibile alla Nouvelle Vague francese. In Italia il film venne distribuito solo a partire dal 1978 con numerosi tagli e il titolo Fantasie di una tredicenne.

La pellicola, ambientata nel tardo ‘800 in una cittadina di periferia dell’Est europeo, affronta la tematica della maturità sessuale di Valerie, interpretata da una giovane Jaroslava Schallerová, in una chiave quanto mai inusuale: quella del vampirismo. Il film infatti può essere considerato un horror surrealista dove la fiaba, il racconto erotico e il romanzo gotico ottocentesco si fondono, dando origine ad un’opera stravagante che immerge lo spettatore in una dimensione altra, onirica, quasi come in un sogno ad occhi aperti. In Valerie a týden divu le unità spaziali e temporali vengono irrimediabilmente infrante, la narrazione risulta barcollante e si avviluppa costantemente su sé stessa, dando alla trama una patina incoerente ma allo stesso tempo incredibilmente suggestiva.

Risulta quasi impossibile descrivere l’intreccio del capolavoro di Jaromil Jireš in quanto vengono inferte delle vere e proprie stoccate alla logica cinematografica. Voragini nella trama, gesti simbolico-allegorici di ambigua interpretazione, la fotografia color pastello e una colonna sonora mistico-religiosa, sono tutte caratteristiche funzionali ad evocare un scenario più ascrivibile al mondo del sogno freudiano che a quello della realtà. L’unica certezza che viene data allo spettatore, è che Valerie vive una settimana a dir poco bislacca che comincia metaforicamente con il menarca.

Quella di Valerie è la storia di una tredicenne che intraprende un cammino che ha come meta la conoscenza di sé stessa e del proprio corpo, un viaggio esemplare che trasforma la bimba in una giovane donna. Questo pellegrinaggio surreale, non a caso paragonato a quello intrapreso dall’Alice di Lewis Carroll, inizia con il risveglio del desiderio sessuale verso il giovane Orlik (Petr Kopriva) suo amante-fratello che, rubandole gli orecchini, le porta via, simbolicamente, la verginità.  Numerosi sono però gli ostacoli che si contrappongono tra la giovane e la sua meta, per lo più rappresentati da personaggi che rispecchiano un’ottica perbenistica e moraleggiante.

Il clero, analogamente alla critica sulla religione di Friedrich Nietzsche, viene raffigurato come una entità libidinosa e vendicativa, pronta ad umiliare il credente, privandolo della libertà terrena con la promessa di una vita nel Regno dei Cieli. Jaromil Jireš con questa pellicola dissacra tutto ciò che è dissacrabile, i simboli religiosi vengono sovvertiti, il vescovo stesso, da messaggero di Cristo diventa il servo del Demonio: un vampiro dai tratti somatici che richiamano il Nosferatu di Friedrich Wilhelm Munrau. Valerie con una leggerezza efebica sorvola tutti i suoi ostacoli, dal missionario che la accusa di stregoneria ai vampiri che vogliono il suo sangue, quasi come una creatura eterea che gioca fanciullescamente in un quadro elegiaco. Sulla via che la porterà a raggiungere la sua meta, Valerie passerà attraverso le esperienze dell’incesto e del lesbismo trovandosi continuamente a trasgredire la norma e a fare i conti con i più ancestrali tabù antropologici.

Il viaggio intrapreso dalla giovane protagonista può essere visto come una sorta pellegrinaggio onirico-purificatorio verso una vita spiritualmente ed eroticamente nuova. La pellicola assume, attraverso  costanti richiami psicoanalitici e simbolici, la forma di un Bildungsfilm, un film di formazione che in un quadro fiabesco vede una tredicenne alle prese con sé stessa e con le sue fantasie, una giovinetta che va incontro allegramente alla sua crescita.

Simone Noris

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