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Entrare nel mondo del lavoro: la dattilografa Carla Dondi «di anni diciassette»

Fotografia di Filippo Ilderico, © Filippo Ilderico, 28 febbraio 2019
Fotografia di Filippo Ilderico

Elio Pagliarani, uno degli scrittori più significativi della Neoavanguardia, si proponeva di stabilire un rapporto tra letteratura e industria e di denunciare la stritolante piovra della civiltà consumistica. Nel poemetto La ragazza Carla (1962) tratteggia il mondo del lavoro in una luce apparentemente familiare e accattivante, ma di fatto disumana e ostile. 

Elio Pagliarani (1927-2012) è stato uno dei poeti più rilevanti di quel movimento culturale operante in Italia negli anni Sessanta che ha preso il nome di «Neoavanguardia». Collaborò a varie riviste culturali e fu redattore del quotidiano Avanti. Nelle sue opere giovanili – Cronache e altre poesie e Inventario privato – entra la città e trascina con sé lo squallore dei quartieri periferici e l’anonimato delle vie del centro. È presente la povera gente dei sobborghi urbani, gli operai e gli impiegati, costretti a vivere in uffici grigi e opprimenti. Saranno proprio questi uffici ad essere lo sfondo del poemetto La ragazza Carla, pubblicato a Milano nel 1962, durante gli anni del «miracolo economico».

Il poemetto in versi, diviso in tre parti, presenta una struttura prevalentemente narrativa. La vera innovazione dell’opera risiede proprio nel ritratto della protagonista: Carla DondiLa ragazza Carla racconta le prime esperienze lavorative di una diciassettenne di modesta estrazione sociale: vive in una povera casa alla periferia di Milano con la madre, la sorella maggiore Nerina e suo marito, Angelo. È abituata ad un contesto di periferia e, per la prima volta, deve affrontare il mondo degli adulti e la grande città industriale. È un ambiente nuovo che entra prepotentemente nella letteratura, basti pensare ad opere di autori quali Paolo Volponi o Vittorio Sereni.

Ma la novità nell’opera di Pagliarani è sicuramente la presenza di una protagonista, di una donna che, lasciata la casa e l’ambiente che spesso caratterizzava le azioni femminili e le donne di molta letteratura – nonché nella vita in generale – decide di prendere un tram da Viale Ripamonti per raggiungere il suo nuovo impiego «all’ombra del Duomo». Le sue aspettative e i suoi entusiasmi giovanili vengono delusi; la ragazza si scopre incapace di accettare la vita adulta, di adeguarsi ad una metropoli forse troppo ostile e fredda, all’ambiente di lavoro, vissuto come luogo opprimente, spersonalizzante.

La protagonista, dopo aver frequentato un corso di dattilografia, entra quindi per la prima volta in un’azienda commerciale e affronta il mondo del lavoro. Vengono narrati il primo giorno del suo nuovo impiego, l’impatto con questo mondo ricco di contraddizioni, così diverso da quello a cui è abituata, e lo sgomento del rientro a casa, la sera.

L’ufficio e, in generale, la città industriale, sono in realtà un mondo squallido, un universo che ha distrutto i valori umani, sostituendoli con la produttività e la legge del profitto. Ma oltre a Carla e all’entrata, quindi, di una presenza femminile in un mondo lavorativo e industrializzato, l’altra realtà presentata nel poemetto di Pagliarani è la metropoli: sconvolta dalla tecnologia, essa cela sotto i falsi bagliori delle insegne pubblicitarie e delle targhe commerciali un tessuto urbano inquinato alle radici, lacerato dalle disuguaglianze sociali ed economiche, dall’incomunicabilità e dalla solitudine. Se il personaggio principale è sicuramente Carla, il tema dominante del racconto è il malessere della società neocapitalistica nell’Italia del dopoguerra, imprigionato nell’ingranaggio produttivo e avviata verso il degrado del consumismo.

La dattilografa Carla diviene sicuramente una ragazza simbolo. Emerge il tema dell’annientamento della personalità, la riduzione ad essere una marionetta, che compie ogni azione con una gestualità fissa diventando quindi l’emblema di una folla mattutina di lavoratori che compiono ogni giorno una “marcia” priva di meta. La protagonista sente sì un sento di solitudine, tristezza e malinconia: ma non ne è neppure cosciente. Neppure la famiglia comprende il suo intimo malessere e il disagio: anzi, sarà proprio la famiglia ad essere imbevuta di quella mentalità capitalistica che sta iniziando ad entrare – o forse è già completamente dentro – la mentalità degli anni Sessanta.

La città di Milano è descritta con tratti caotici proprio con la volontà di rappresentare un meccanismo affaristico ossessivamente babelico: è la moderna metropoli, invivibile e alienante.

L’opera di Elio Pagliarani del ’62 ha quindi con sé la novità e la sperimentazione tipica della Neoavanguardia anche dal punto di vista stilistico e linguistico, ma anche l’entrata in scena di una figura femminile totalmente diversa, nuova: una ragazza di periferia che decide di lavorare in un ufficio nel centro di Milano. Se già la presenza del lavoro industriale è una novità della letteratura dagli anni Sessanta, se chi lavora è una donna, ecco che il tutto si trasforma in una vera e propria innovazione. Il rapporto letteratura-industria è comunque giudicato negativo dall’autore, simbolo di un mondo ormai troppo opprimente, come viene delineato nell’ultima parte del poemetto, dove una descrizione del cielo, considerato “d’acciaio”, vuole sottolineare come l’ambiente non illude l’uomo, non lo inganna promettendogli un falso paradiso, ma gli mostra la desolazione della sua sorte senza scampo.

Alessandro Crea

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