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La moralità meccanica contro l’ultraviolenza

Fotografia di Manuel Monfredini
Fotografia di Manuel Monfredini

Fantapolitico e distopico, il romanzo Arancia Meccanica sposa la tematica dell’ultraviolenza nella robotica più intimamente psicologica. L’opera fa la sua comparsa in pubblicazione nell’anno 1962 e deve la sua nascita all’autore Anthony Burgess.

La decisione del titolo non fu altro che il frutto di un’espressione che lo stesso autore sentì pronunciare da un londinese: difatti, secondo lo slang cockney, il signore in questione riteneva di essere “sballato” come un’arancia ad orologeria. Burgess credeva che l’interpretazione più affine fosse legata all’idea di una persona la quale agiva meccanicamente; non a caso la parola Orang in lingua malese corrisponde a “uomo” (si ricordi che l’autore trascorse parte della propria vita in Malesia). Inoltre la trama dell’opera voleva prendere spunto anche da un episodio vissuto dallo scrittore in prima persona: difatti nell’anno 1942 la moglie di Burgess fu vittima di pestaggio e violenza sessuale da parte di tre disertori americani.

Il romanzo sposa un’atmosfera grottesca e orrida, mescolando tra di loro stonature psicologiche nello spaventoso ritratto della famosa ultraviolenza; complice del quadro raccapricciante la consapevolezza che il protagonista, Alex, altri non è che un giovanissimo ragazzo di soli diciassette anni. Intenso e terrorizzante, Arancia Meccanica si eleva al di là della mera comprensione umana trasformando le peggiori turbe dell’animo in una fervida ascesa alla robotica del pensiero. Il protagonista si riduce così a esperimento puramente scientifico e contemporaneamente tecnologico di fronte ad una politica che invece di punire, sottopone alle sue prove un vero e proprio criminale. Così anche gli ingranaggi della società stessa seguono una dinamica “di ferro”, a partire dal Korova Milk Bar dove viene servito, senza troppi complimenti, il Latte+ a dei minorenni con glaciale costanza e negligenza. Si assapora così il ritmo cadenzato dell’economia che non guarda in faccia alla morte, né alla somministrazione di droghe le cui conseguenze dell’assunzione si riversano sanguinariamente su terzi innocenti.

La celebre cura Ludovico unisce la potenza delle immagini “serene” alla musica del maestro L.W. Beethoven, cui Alex si rivela sin da subito profondo ammiratore. Una meccanica del tutto celebrale quella della terapia, la quale vuole arrogarsi il diritto di esercizio tecnico sulla mente umana e sulla stessa società. Alex è un oggetto di interesse, cui il funzionamento è quasi feticismo per tutti quei dottori che divengono tuttavia ingegneri studiosi dell’andamento del cervello e del corpo del diciassettenne.

Il rotismo di un vero e proprio orologio cui le lancette segnano il countdown verso la più totale inversione psico-fisica di Alex: i pezzi sono stati tra di loro scambiati e il risultato è il dinamismo della mente umana, trasformata completamente da un team di esperti che gioca con le passioni tecnologiche.

Manuela Spinelli

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