Vai al contenuto

Ex Machina, il rapporto tra uomo ed intelligenza artificiale

Alex Garland si rivela al pubblico cinematografico nel 2015 con un thriller fantascientifico che introduce lo spettatore ad importanti domande sul presente.

Foto di Emma Strocchi
Foto di Emma Strocchi

Dalle celebri “tre leggi della robotica” di Asimov in avanti l’uomo del XXesimo secolo, sia in ambito di finzione sia in termini di saggistica, ha riflettuto sulle probabili complicazioni che una sviluppata intelligenza artificiale potrebbe causargli.

Garland, dirigendo una sceneggiatura di cui è anche l’autore, lavora proprio su questa tematica, attraverso l’esperienza dei due protagonisti del film. La pellicola è quasi interamente ambientata nella lussuosissima casa di Nathan Bateman, genio dell’informatica e amministratore delegato della “Blue Book”, una grande compagnia che si occupa di motori di ricerca. Un programmatore di questa azienda, Caleb Smith, vince un concorso grazie al quale può passare un’intera settimana assieme al suo capo e sua fonte di ispirazione. Nathan gli rivela così di stare lavorando ad Ava, una sofisticata intelligenza artificiale che il giovane programmatore dovrà giudicare attraverso il Test di Turing.

Durante le lunghe conversazioni tra Caleb ed Ava, Garland riesce a far immedesimare lo spettatore nei panni del ragazzo, costringendo dunque tutto il pubblico a svolgere la componente umana del test di Turing [1] assieme a lui e, conseguentemente, a porsi gli stessi quesiti del protagonista: quanto è umana Ava? Ci si può fidare di un’intelligenza artificiale?

Garland, dunque, ci presenta un film in cui la storia è racconta secondo la versione di Caleb. In questo modo riesce a costruire due tipi di suspense: da un lato, il ragazzo non conosce fino in fondo le vere ragioni per le quali Nathan abbia indetto questo concorso e per quale motivo il vincitore debba approcciarsi con la sua pericolosa creazione; dall’altro, la seconda causa di tensione è, come detto in precedenza, il rapporto tra il giovane e Ava. Il regista costruisce, tramite un’abile architettura della sceneggiatura, una duplice domanda nello spettatore, costituente la colonna portante dell’intero film [2].

Un ulteriore quesito, però, probabilmente il più importante, è lasciato insoluto dal regista. L’ultima inquadratura di Ex Machina, che vede Ava mescolarsi tra una folla di passanti ignari della sua natura, non è solo un finale aperto ma lascia in sospeso una serie di interrogativi per ora irrisolvibili.

Il lavoro di Garland presenta diverse affinità con alcuni dei punti cardine della Genesi [3]. Non solo Ava rimanda quasi istantaneamente al nome della prima donna compagna di Adamo, ma l’intero tempo diegetico del film è scandito in sette giorni e si svolge nella sua quasi totalità in una villa nel mezzo di un bosco incontaminato.

A livello visivo, dall’inizio fino alla conclusione, Garland ed il suo direttore della fotografia Rob Hardy si concentrano in maniera determinante sul riflesso e sull’idea di doppio, sia attraverso superfici specchiate sia tramite ombre o luci. Ciò potrebbe essere un riferimento per la chiave di lettura finale: l’A.I. è un riflesso di un essere biologico, inteso come essere creato da una mente umana? In quel caso Ex Machina sarebbe una descrizione di un inizio di civilizzazione post-umana, già cosciente di aver ucciso la propria divinità.

Edoardo Rugo


[1] https://www.youtube.com/watch?v=bMH9Y0JoPRs&t=60s
[2] https://www.youtube.com/watch?v=1Ko9mWdqW-M
[3] https://www.youtube.com/watch?v=V85VqlVptWM

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.