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Morire, ma non di noia!

Fotografia di Filippo Ilderico

Preceduto da Blow-Up e seguito da The Passenger (Professione: reporter)Zabriskie Point è il secondo di un trittico di lungometraggi in lingua inglese e con attori stranieri diretti dal maestro della cinepresa Michelangelo Antonioni. Girato integralmente negli Stati Uniti e uscito per la prima volta nelle sale nel 1970, il film resta uno dei più controversi ed affascinanti del regista ferrarese.

Ambientata nell’America del post-capitalismo e della contestazione giovanile della fine degli anni ‘60, quella di Zabriskie Point è la storia di una fuga: l’evasione di due ragazzi dalla realtà di Los Angeles per perdersi nella natura desertica della Death Valley californiana. Il motore narrativo che spinge Mark (Mark Frechette) a rubare, un po’ per gioco un po’ per necessità, un aereo da turismo e a spingersi verso il deserto americano, è l’accusa di omicidio di un poliziotto durante uno scontro nel campus universitario. Il giovane “rivoluzionario”, in volo sulla Valle della Morte, avvista una macchina e si diverte a inseguirla; al volante c’è Daria (Daria Halprin). Quest’ultima è la segretaria di un noto speculatore edilizio di Los Angeles ed è sulla strada verso Phoenix per raggiungerlo. I due si incontrano finalmente nei pressi di Zabriskie Point «una zona di antichi laghi prosciugati da cinque a dieci milioni di anni fa» [1]. È proprio qui che si consuma l’amore tra i giovani, tra le rocce, il borato e il sole battente.

Bruscamente, dopo aver unito la loro pelle e i loro corpi con il deserto e aver ridipinto l’aereo come uno «strano uccello preistorico con i genitali di fuori» [2] i due ripartono ognuno per la propria strada: Mark riporta il velivolo nel luogo in cui l’ha sottratto, andando incontro così ad una morte ingiustificata. L’altra, appresa la notizia via radio, raggiunge il magnate e si trova davanti ad una realtà insostenibile. Una realtà che vorrebbe distruggere.

Michelangelo Antonioni, attraverso questa pellicola, dipinge un’America caratterizzata da un bombardamento pubblicitario del reale dove «i suoi eccessi di colori» non sono altro «che esche cromatiche per rimuovere tutto quel grigio, grigio del mondo produttivo-repressivo che le ha originate» [3]. La sua Los Angeles appare congestionata da cartelloni, insegne, da troppe informazioni, tanto da esercitare violenza sia sui personaggi che, in particolar modo, sullo spettatore. Proprio per questa ragione il regista di Ferrara viene accusato di «aver visto l’America da europeo» [4]. A queste accuse, mossegli dalla critica d’oltreoceano, il cineasta afferma che: «oggi qualcuno dice che non conosco gli Stati Uniti, che parlo di cose che non so. […] Io non esprimo verità, non enuncio ideologie, faccio film. […] Io ho voluto soltanto fare un film che contenesse alcuni simboli, ed echi, dell’America di oggi, e delle sue laceranti contraddizioni soprattutto» [5]. 

L’unica soluzione possibile per i due giovani sembra appunto quella di una fuga verso il deserto, la fuga da una società troppo psicotica da guarire. Mark scappa perché animato da un desiderio di «mitica regressione allo stato di natura» [6], un sentimento di dissoluzione nell’elemento naturale che pone come proprio obiettivo la morte. Daria, invece, è schierata «dalla parte della vita» ed è in grado «di trovarla anche dove non se ne vede nessun segno» [7]. Man mano che ci si allontana dalla civiltà e ci si addentra nel deserto, della metropoli non restano che relitti, uomini e località dimenticate, un distaccamento graduale che conduce fino all’oblio del mondo: a Zabriskie Point.

Ed è sempre nel deserto che viene rivelato l’amore tra Daria e Mark, in un clima di assoluto abbandono e leggerezza che «culmina in una scena di sesso in cui l’estrema intensità del momento viene resa dal regista con il moltiplicarsi delle persone in questione: dalle dune del deserto sbocciano come fiori corpi di ragazzi che fanno l’amore, fondendosi con la sabbia, fondendosi con la natura, fondendosi tra di loro, con come cornice la candida chitarra di Jerry Garcìa dei Grateful Dead» [8].

Inevitabilmente, il ritorno alla realtà urbana risulterà traumatico per entrambi: se Mark sceglie come estrema soluzione per recuperare la Natura di dissolversi facendosi uccidere, Daria, forse, torna «per uccidere» [9]. È lei che, allontanatasi dalla villa del capitalista, con uno sguardo allucinatorio accompagnato da una primordiale Careful with that axe Eugene dei Pink Floyd, fa esplodere innumerevoli volte l’abitazione e, con essa, i simboli del vuoto esistenziale generato dalla modernità.

Simone Noris


[1] Michelangelo Antonioni, Zabriskie Point, Metro-Goldwyn-Mayer, 1970
[2] Ibidem
[3] David Gianetti, Invito al cinema di Antonioni, Mursia, 1999
[4] https://auralcrave.com/2017/11/07/zabriskie-point-lincomunicabilita-di-antonioni-diventa-viaggio-psichedelico-noads/
[5] Pietro Pintus, La cinepresa e la realtà: incontro con Michelangleo Antonioniin Michelangelo Antonioni, Edizioni Falsopiano, 2007
[6] Ibidem
[7 ] Ibidem
[8] https://auralcrave.com/2017/11/07/zabriskie-point-lincomunicabilita-di-antonioni-diventa-viaggio-psichedelico-noads/
[9] David Gianetti, Invito al cinema di Antonioni, Mursia, 1999

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