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La zattera del destino fatale

Fotografia di Filippo Ilderico

Nel 1818-1819 fu presentata al Salon parigino l’opera di Théodore Géricault La zattera della Medusa. Quest’opera suscitò grande scalpore perché rappresentava lo scandalo, che si voleva insabbiare, del naufragio della nave “Medusa”. Successivamente, la tela venne esposta a Londra, dove ricevette una migliore accoglienza.

La Zattera della Medusa è ispirato a un tragico fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica: il naufragio della “Medusa”, una nave che trasportava soldati e civili verso la colonia del Senegal, avvenuto nel 1816 al largo dell’Africa occidentale.

Sulla zattera c’erano centocinquanta persone; per diversi giorni era andata alla deriva trasmettendo una scena a dir poco straziante, di ammutinamento e cannibalismo; fu tratta in salvo solo una quindicina di superstiti, cinque dei quali morirono subito dopo. Il governo mise a tacere le critiche sull’inadeguatezza dei soccorsi, ma due dei sopravvissuti scrissero un violento resoconto dell’evento che suscitò scalpore in tutta Europa, e in particolare catturò l’attenzione di Théodore Géricault.

L’artista sceglie un momento particolare, carico di tensione psicologica: il primo avvistamento della nave Argus e il successivo sconforto dovuto alla scomparsa all’orizzonte della possibile salvezza.

La scena è divisa in parti: in primo piano, un vecchio siede meditando tristemente tra i morti; dietro di lui, alcuni sopravvissuti in piedi rivolgono gli sguardi verso il punto all’orizzonte che un compagno sta indicando; altri sono distesi e tentano di alzarsi a fatica, rianimati da un’ultima speranza; altri ancora aiutano un marinaio di colore a salire su un barile perché possa sventolare la camicia più in alto e farsi notare dall’equipaggio della nave Argus. L’insieme forma una piramide umana ed è un punto quasi indistinguibile tra l’oscuro agitarsi delle onde. Il groviglio di figure è rappresentato in un graduale crescendo di emozioni che vanno dallo scoramento, alla speranza, alla delusione.

Tutta la scena è dominata da due spinte contrarie: da una parte, la piramide umana che si protende verso l’incerta salvezza; dall’altra, la forza del mare e del vento che gonfia la vela in direzione opposta, caricando la scena di tensione drammatica.

Il piano evidenzia due sentimenti contrastanti: speranza e disperazione, vita e morte. Il quadro rappresenta elementi romantici (colori tetri e scuri, corpi ammassati l’uno sull’altro) insieme a elementi tipicamente classici: i corpi sono modellati prendendo spunto dall’anatomia dei corpi greci. Il tutto è tenuto insieme dal concetto del destino dell’uomo appeso a un filo, comandato da forze ultraterrene.

Lo scopo di Géricault è quello di porre una scena di grande impatto sotto gli occhi dello spettatore, che, ignaro della vicenda, viene a scoprirla; lo spettatore è così costretto a soffermarsi per un momento a riflettere su un fatto realmente accaduto, prenderne atto e agire di conseguenza, rendendo giustizia ad un azione impunita.

La Zattera della Medusa mette in scena il destino dell’uomo alla deriva appeso ad un filo e riprendendo i miti greci considera il fato dell’uomo come coordinato solo ed esclusivamente dagli dei: «Nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade; / ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla, / sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato» [1].

Leila Ghoreifi


[1] Omero, Iliade, libro VI vv. 487-489, versione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1990.

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