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Il bambolotto dello sfruttamento: la sopravvivenza alle spese di un bambino

Fotografia di Filippo Ilderico

Romanzo sociale scritto tra il 1837 e il 1839 dall’autore inglese Charles Dickens, Oliver Twist racconta le vicissitudini dell’omonimo protagonista, vittima dello sfruttamento da parte degli adulti che lo renderanno la marionetta dell’egoismo.

Nel periodo della gloriosa ma cupa età vittoriana, l’autore inglese Charles Dickens firmava il suo secondo romanzo Oliver Twist, sulla cui scrittura si dedicò tra il Febbraio del 1837 e l’Aprile del 1839. Come molti testi dell’epoca, quest’opera venne pubblicata su periodici a puntate presentandosi sotto la natura di romanzo sociale: una letteratura che narra le condizioni – di norma disagiate – delle classi meno abbienti della società inglese.

Orfano e nato da madre morta di parto, Oliver Twist sperimenta fin da bambino la crudeltà degli adulti ritrovandosi sfruttato e vittima di ripetute violenze nell’officina dove lavora duramente alla tenera età di nove anni.

Il protagonista, fuggito a Londra dopo una serie di disavventure, incontrerà Fagin, anziano ebreo a capo di un gruppo di giovani ladruncoli. Oliver entrerà per la prima volta all’interno di una sorta di famiglia molto particolare, nella quale il senso di unione è direttamente proporzionale alla quantità del bottino ottenuto.

Capobanda e mastro indiscusso, Fagin muoverà i fili della sua neo marionetta Oliver portandolo verso la strada del furto, ma per il giovane sfortunato il colpo in casa del borghese Mr. Brownlow non avrà successo. Ciononostante l’abbiente uomo prenderà sotto la propria ala protettiva il ragazzo che tuttavia si ritroverà rapito dal suo vecchio gruppo su ordine di Fagin. L’ebreo infatti vuole sfruttare il più possibile il ragazzo affinché possa essergli di aiuto per una nuova estorsione.

Vittima delle vessazioni psicologiche da parte di Fagin e del suo violento complice Bill Sikes, Oliver perde ogni dettaglio di umanità agli occhi di quegli adulti che lo vedono solo come una mera risorsa da sfruttare fino allo sfinimento. Sono infatti “i grandi” affamati di potere e denaro a stringere con violenza tra le proprie mani la persona di Oliver, ora fantoccio sbattuto senza troppa delicatezza in ogni singolo angolo nel quale possa rivelarsi utile. La sua storia così come la sofferenza che gli appartengono non destano il reale interesse di nessuno e questo svalorizza e spersonalizza il povero ragazzino.

Lo sfortunato orfano riceverà ben presto la prossima beffa, nella quale il segreto fratellastro Monks deciderà di tendere una trappola ad Oliver al fine di negargli il patrimonio ereditato dai genitori deceduti. Un piano crudele e premeditato ai danni di un minore la cui sola colpa è quella di essere nato nella parte sbagliata della società.

Oliver è totalmente sganciato da questa filosofia di vita e tenta in tutti i modi di scappare da un teatrino che non gli appartiene: se prima si era affidato, nella disperazione, a Fagin e al rifugio che poteva donargli, ora il protagonista si ribella finalmente alla crudeltà del mondo e all’egoismo senza fine. Il ragazzino non è altri che un pezzo da collezione sfruttato dai burattinai i quali preparano le più pietose e crudeli scene in cui solo un personaggio deve patirne le conseguenze: Oliver stesso.

Fortunatamente per il protagonista vi sarà un lieto fine a sipario chiuso, ma sul palcoscenico della sua esistenza ha dovuto piegarsi come un bambolotto ai vizi e ai capricci di chi invece avrebbe dovuto proteggerlo come una creatura innocente quale egli era.

Nell’Inghilterra vittoriana in cui la fame distruggeva gli animi delle classi subalterne, la disperata corsa alla sopravvivenza creava manipolatori che non guardavano in faccia a nessuno: nemmeno ai bambini.

Manuela Spinelli

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