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Butch Morris e l’Orchestra durante la Conduction: un do ut des

Fotografia di Filippo Ilderico

Oltre 200 Conduction sono state eseguite da Butch Morris: attraverso questa prassi, perfezionata negli anni, il compositore statunitense permette all’interazione di muovere le fila della composizione musicale, che si evolve così passando direttamente dall’ensemble, in una reciproca influenza tra il direttore – con le sue iniziali idee compositive – e le capacità interpretative e musicali dei singoli membri dell’orchestra, dai quali attinge.

Quando L.D. “Butch” Morris (classe 1947) nell’85 “accantonò” la sua carriera di strumentista per dedicarsi maggiormente alla composizione, e nello specifico all’ideazione della cosiddetta Conduction, molti dei suoi colleghi e insegnanti accolsero le sue decisioni con evidente scetticismo [1]. Tuttavia, dovettero ricredersi quando, anno dopo anno, il compositore americano fu in grado non solo di creare un metodo ben strutturato ma anche di dare origine a brillanti composizioni, frutto di un’originale interazione tra musicisti e direttore d’orchestra.

Viene definita Conduction la pratica di trasmettere e interpretare un lessico di direttive per costruire o modificare arrangiamenti e composizioni; uno scambio di struttura-contenuto tra il compositore/ conduttore e gli strumentisti che fornisce la possibilità di creare o alterare armonia, melodia, ritmo, tempo, progressione, articolazione, fraseggio o forma, attraverso la manipolazione – in tempo reale – di intonazione, dinamica, timbro, durata e organizzazione del materiale musicale [2]. Essa è forse simile alle modalità di direzione di altri musicisti contemporanei (basti pensare alla Go Organic Orchestra di Adam Rudolph o al Sound painting di Walter Thompson, che comprende più di 1.500 istruzioni gestuali). Tuttavia vi sono delle differenze; quelli di Morris (circa una settantina di segni ideografici e gesti) sono molto strutturati e organizzati, e più che un vero e proprio linguaggio potrebbe definirsi un vocabolario profondamente radicato nel contesto.

Dopo i primi anni di rodaggio, le cosiddette conducted improvisation hanno suscitato l’interesse del pubblico e di musicisti di qualsiasi genere (dalla classica al jazz); Morris e la sua bacchetta rigorosamente bianca divennero celebri, e molti dei suoi lavori (alcuni frutto di masterclass intensive) vennero registrati dal vivo su disco. I migliori lavori di Butch (come da lui stesso dichiarato) sono il concerto di Bologna inciso all’Angelica Festival pubblicato nel cd Conduction/Induction (2006) e l’originalissimo progetto Chorus of Poets (ne è un esempio Where is Peace del 2007, in cui Butch dirige un “coro di poeti” lavorando sul linguaggio verbale in interazione con la sua musica.

Il lavoro quasi trentennale di Butch si è concretizzato con la scrittura del manuale The Art Of Conduction – A Conduction Workbook, una pubblicazione postuma curata dalla linguista italiana Daniela Veronesi che ha collaborato con lui prima della morte, avvenuta nel 2013. Il volume didattico comprende il pensiero di Butch, la sua discografia e le indicazioni sul lessico (ovvero il significato di ciascun segno o gesto).

Dopo attente riflessioni, frutto di lunghi dibattiti con Morris, la linguista Veronesi è giunta alla consapevolezza di come la cosa più interessante della Conduction sia che, nonostante il compositore partisse da alcune personali idee e dirigesse gli strumentisti con precisi gesti, tuttavia non avrebbe potuto controllare le loro personali modalità interpretative nel rispondere alle sue indicazioni, dovute alla concessione di un loro spazio creativo. Proprio questa capacità interpretativa, che sfuggiva piacevolmente al suo controllo, costituiva il motore in grado di azionare l’atto compositivo, permettendo alla musica di comporsi da sé, di assumere vita propria.

Si tratta dunque di idee sviluppate collettivamente, in cui risulta quasi impossibile definire con precisione la percentuale di apporto personale di ciascun soggetto coinvolto (se sia il conduttore a guidare o ad essere guidato dall’orchestra); di fatto, il compositore recepisce e impara dalle potenzialità interpretative dei musicisti e modifica le sue iniziali idee in funzione degli stimoli ricevuti dall’esterno, ovvero da questi “burattini” che sembrano essere guidati ma che, forse, sono anche in grado di guidare. Si tratta di un do ut des del tutto unico. Una domanda sorge dunque spontanea: non è forse la musica stessa e il criterio del “gusto musicale condiviso” il vero manipolatore di tutto? Ascoltando Butch e le sue composizioni sembra proprio che si intuisca questo scenario.

Eleonora Gioveni


[1] Butch Morris, il compositore-direttore che cambiava la musica mentre l’orchestra suonava, Franco Fayenz
[2] https://www.conduction.us/index.html

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