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Il percorso di guarigione delle ragazze interrotte

Fotografia di Filippo Ilderico

Ragazze, Interrotte è un film del 1999 diretto da James Mangold e tratto dal romanzo di Susanna Kaysen. Questo film ambientato alla fine degli anni Sessanta, racconta la storia di Susanna (autrice del libro), una ragazza che dopo un tentato suicidio è stata mandata dai genitori in un istituto psichiatrico privato.

Da una parte Susanna (Winona Ryder), una ragazza dolce ma confusa, che non riesce a sostenere il peso della vita di tutti giorni e che per questo motivo arriva a ingoiare una confezione di aspirine insieme a una bottiglia di vodka, dando la colpa a un brutto mal di testa; dall’altra parte invece Lisa (Angelina Jolie), sociopatica e sadica nei confronti delle sue compagne: questa giovane donna vuole giocare a fare la ribelle, forse per sentirsi un po’ più diversa, un po’ più speciale.

Dal momento in cui Susanna arriva alla struttura psichiatrica, con una diagnosi di disturbo borderline della personalità, a quando finalmente ne uscirà si possono notare tre fasi all’interno del suo percorso di guarigione; si tratta di mutamenti interiori, alla fine dei quali riuscirà a rivalutare le motivazioni che l’hanno portata dove si trova adesso: Susanna, lavorando su di sé, riesce a compiere una metamorfosi consapevole.

Inizialmente cerca di negare il suo stato mentale e il fatto di aver tentato il suicidio: è spaventata dalla altre pazienti dell’ospedale e non vuole prendere gli psicofarmaci che le vengono prescritti. Poco alla volta, però, si ambienta, scopre che le altre ragazze sono esseri innocui e soprattutto trova nell’infermiera Valerie (Whoopi Goldberg) una guida e un punto di riferimento.

In un secondo momento, poco dopo essersi assestata e abituata ai ritmi dell’ospedale, Susanna conosce Lisa, una paziente che era scappata dalla struttura e che vi viene riportata dopo essere stata ritrovata. A Lisa piace creare il caos e istigare le ragazze più fragili. Questo non è però il modo in cui la vede Susanna inizialmente: Lisa è un ribelle, sì, ma per dei giusti motivi. Con lei Susanna si sente meno sola, meno pazza. Lisa è divertente, la difende, le mostra come non prendere gli psicofarmaci e di notte ruba le chiavi all’infermiera per portare tutte le ragazze a giocare a bowling nel seminterrato.

Man mano Lisa convince Susanna che la terapia è inutile, che gli psichiatri non hanno idea del lavoro che stanno svolgendo e che l’unico modo per essere rimandati a casa è raccontare tutti i propri segreti, senza che questo serva realmente a mantenere la sanità mentale del paziente. Susanna perde completamente fiducia nel sistema di guarigione e diventa aggressiva, scontrosa e silenziosa agli incontri di terapia.

Il momento di svolta del suo percorso arriva quando la protagonista capisce che la sua amica non ha la verità in tasca, ma è una ragazza instabile e fragile esattamente come lei e le altre pazienti. Dopo questa rivelazione, Susanna cerca di rimediare ai mesi di terapia e di relax persi e sfrutta al meglio la struttura, andando a parlare con la psichiatra tutti i giorni, prendendo le sue pillole e scrivendo tutto il resto del tempo.

Infine, Susanna è guarita e può tornare a casa, mentre Lisa è più giù che mai: si sente bloccata in un limbo in cui vorrebbe da una parte essere libera e dall’altra non guarire mai. Per far sì che la terapia funzioni il paziente deve essere predisposto al cambiamento, non inteso come una trasformazione totale, ma piuttosto come una metamorfosi di un bruco in una farfalla, che si lascia dietro qualcosa del passato per poter acquisire una fattezza nuova, rimanendo comunque sempre la stessa.

Elena Marras

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