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La libertà di proclamare le proprie origini: Blood on the Field di Wynton Marsalis

Figura discussa ma allo stesso tempo di primo piano nel panorama jazzistico contemporaneo, il trombettista Wynton Marsalis è passato allo storia per essere stato il primo musicista jazz ad aggiudicarsi il Premio Pulitzer per il suo oratorio Blood on the Field, un inno alla libertà che si collega alle origini ancestrali della musica afroamericana.

Il precocissimo esordio di Wynton Marsalis è stato accompagnato da un prorompente e ideologico richiamo alla tradizione. Subito dopo essere salito alle luci della ribalta il giovane Wynton dà vita ad un acceso dibattito sulla vera identità della musica nera e del jazz. Per lui ingredienti fondamentali del genere afroamericano per antonomasia sono: swing, blues e improvvisazione, e tenendo fermi questi parametri Marsalis bolla il Free Jazz e la Fusion come pericolose derive che travisavano la vera identità della Black Music. Entrò per questo in collisione con affermati musicisti come Miles Davis e Chet Bakered e intraprese un percorso artistico che lo portò da un lato a realizzare dischi elaborati, dove il recupero dell’Hard-bop è applicato con rigore quasi filologico, dall’altro la strenua difesa dell’identità e del passato sfociò nel recupero delle forme prime e più arcaiche della musica afroamericana come il ragtime o il dixieland.

Questo percorso creativo culmina negli anni novanta con l’ambizioso e maestoso oratorio Blood on the Field eseguito per la prima volta nel 1994 e il cui successo è stato consacrato nel 1997 con il Premio Pulitzer per la musica. Fino ad allora l’accademia che attribuisce il premio aveva tenuto al di fuori della competizione la musica americana per eccellenza, il jazz, riservando il premio a composizioni di chiara matrice europea.

La lunga composizione, tre ore di musica, è concepita per un’orchestra jazz formata da una trentina di musicisti e tre cantanti che impersonano i tre personaggi della storia. La vicenda narra di due africani che vengono catturati e portati negli Stati Uniti dove vengono venduti come schiavi. Nella concezione che forma l’opera di Marsalis è ben presente il modello delle Slave Narrative, prima forma di letteratura autenticamente afroamericana dove gli schiavi neri narrarono l’esperienza della schiavitù dando il la ai movimenti per l’emancipazione e la libertà dei neri. L’altro modello imprescindibile è Duke Ellington, vero e proprio capostipite delle composizioni per orchestra jazz di ampio respiro.

Blood on the Field è un lavoro monumentale, che combina al suo interno numerosi elementi dei primi esperimenti musicali dei neri d’America: il blues, i canti di lavoro, gli spiritual, le sonorità delle prime bande di New Orleans e i ritmi di provenienza caraibica,ma anche sonorità che richiamano la musica tribale africana e degli indiani d’America. Marsalis realizza una grande enciclopedia del patrimonio musicale d’America ricordando a tutti i musicisti, neri e non, le origini del jazz, unico vero riferimento musicale.

Raccontando la storia dei due schiavi Jesse and Leona, Marsalis e la sua orchestra portano l’ascoltatore lungo il difficoltoso verso la libertà, un viaggio in cui i due protagonisti, e implicitamente tutta la comunità americana, devono andare oltre la preoccupazione del potere personale e imparare che la vera libertà è, e deve essere, condivisa e che la condizione per la sua conquista sta nel riconoscersi profondamente immersi nel solco di una tradizione le cui radici non possono essere tradite.

Mattia Sonzogni

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