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Il Signor G. e le sue riflessioni sulla famiglia

Fotografia di Filippo Ilderico
Fotografia di Filippo Ilderico

Giorgio Gaber da molti definito l’illogico utopista, l’instancabile pensatore, l’artista dell’azione, il cantautore italiano dallo smodato desiderio di offrire al suo paese sani dubbi su cui riflettere  ha parlato in diversi suoi album anche della famiglia in ogni sua sfaccettatura, mostrandone limiti e potenzialità, fino a sviscerarne i profondi significati che essa riveste nella società.

Giorgio Gaber ha dedicato la sua intera carriera ad affrontare temi alquanto scomodi e scottanti, non senza ricevere critiche e commenti negativi. Le sue canzoni e i suoi monologhi, molti dei quali scritti con il suo amico e collaboratore Sandro Luporini, hanno dato vita negli anni ‘70 ad un vero e proprio “genere”: il Teatro Canzone. Stanco delle censure televisive, si interessa al teatro proprio perché esso è in grado di offrirgli qualcosa di insostituibile: una comunicazione diretta, vera e interattiva con il pubblico.

Questo «filosofo ignorante» (così si è definito), capace di far ridere e piangere al contempo il suo pubblico alternando serietà e ironia, ha scrutato gli angoli più nascosti di se stesso  e della sua Italia, dedicando la sua intera carriera ad un incessante processo di ricerca da condividere con la propria generazione e soprattutto con i giovani. Il Signor G. ha parlato infatti di politica, corruzione, oppressione e libertà, democrazia e dittatura del mercato, massificazione, famiglia, solidarietà, alienazione dilagante, disinformazione televisiva, e molto altro.

Interessato al difficile rapporto io-mondo, un tema a lui caro, indagato da molteplici punti di vista, è La Famiglia, di cui ben descrive le dinamiche nell’omonimo brano del 1997. L’artista milanese riflette su come spesso in essa echeggino ipocrisia e sentimentalismo, a sostegno della rappresentazione di una routine apparentemente felice, non vissuta ma subita, riguardante più un’estetica dell’apparenza che un reale sodalizio con determinati valori. È per questo che, negli anni ‘70, periodo di grande libertà sentimentale e di rifiuto della cosiddetta famiglia piccolo-borghese, Gaber e Luporini scrissero C’è Solo la Strada (1974), un invito ad uscire dalle proprie case e scendere in strada, ovvero a confrontarsi e partecipare attivamente con l’Altro ai problemi della società.

Il Signor G. ha parlato anche di resistenza. Di fronte a una coppia che, come spesso accade, è costretta a rinunciare alle eccitanti sensazioni dei primi anni di innamoramento, egli riflette sulla possibilità di godere, senza rimpianti, delle trasformazioni di una relazione senza cedere a quei brividini del cuore che potrebbero indurre al tradimento. Tale gesto, dettato da una trasgressione che, a suo parere, è specchio della nostra società consumistica, ci impedirebbe di scorgere dietro una scelta relazionale delle risposte alquanto interessanti sul senso della propria vita. Di questo parla Il Dilemma (1981), la storia di una coppia che, in seguito ad un tradimento, decide di lasciarsi, in nome dell’ideale di famiglia che entrambi i partner perseguono. L’autore non si schiera ma – come espresso nel suo spettacolo Parlami d’amore Mariù«forse sarebbe importante essere sicuri di un proprio sentimento per avere il coraggio di ridare un’occhiata al mondo». Esplicativo in tal senso è Non insegnate ai bambini (2003). In esso l’autore riflette sulle modalità educative e chiede all’ascoltatore di non guidare i bambini verso l’acquisizione di una falsa coscienza ma di lasciar loro un margine di scelta, affinché possano provare a cambiare questo mondo con modalità differenti rispetto a quelle delle passate generazioni che, a suo parere, hanno fallito.

Il concetto di famiglia può però riferirsi in modo originale anche all’Italia. Un esempio è dato dal brano La Strana Famiglia, in cui il Signor G., prendendo spunto da parenti immaginari, elenca con simpatica ironia il nome di programmi televisivi e personaggi popolari italiani, quasi che il lessico familiare sia influenzato o addirittura rappresentato dalla televisione stessa. Quest’ultima, inoltre, ha forse contribuito ad eliminare una sana introspezione dell’individuo, permettendo il dilagarsi di una modalità di intrattenimento che induce lo spettatore a distrarsi ed eludere le reali paure del nostro tempo: la solitudine, la noia, il disagio di non sapere cosa ne sarà del proprio futuro e, infine, la paura della morte.

Le parole di Gaber, ancora oggi attualissime, smuovono le coscienze e avvicinano anche i giovani alle riflessioni più svariate. I suoi testi sulla famiglia e le relazioni forniscono ancora oggi domande esistenziali che invitano a vivere in modo autentico i rapporti con gli altri e le proprie scelte di vita.

Eleonora Gioveni

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