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Vogliamo la supplente: i ragazzacci di Scerbanenco

Disegno di Giulia Pedone

Un’aula di una scuola milanese, una lavagna piena di parolacce e disegni osceni e il cadavere della professoressa Matilde Crescenzaghi, orrendamente massacrata e torturata. Duca Lamberti, personaggio nato dalla penna di Giorgio Scerbanenco, deve confrontarsi con un ambiente morboso e feroce, nel quale il disagio giovanile ed esistenziale ha pervaso ogni angolo.   

Insegnare è uno dei lavori più complicati di questo mondo. Ci vuole pazienza, costanza, determinazione e, soprattutto, una sorta di vocazione. Insomma, non è per tutti. Questa predisposizione è ancor più necessaria quando occorre lavorare con ragazzi difficili e problematici. Spesso però il confronto con questa realtà di disagio si può trasformare in uno scontro, in un muro di incomprensioni e di difficoltà di fronte alle quali qualsiasi persona sana di mente chiuderebbe il registro, cancellerebbe le scritte sulla lavagna delle lezioni passate e se ne andrebbe, il tutto con un senso di liberazione. Non è questo, però, il caso di Matilde Crescenzaghi. Lei, «fragile, delicata signorina della piccola borghesia dell’Alta Italia» [1], in una scuola serale vicino a Piazzale Loreto c’è morta ammazzata, non prima di essere stata torturata e violentata dai suoi stessi alunni.

I ragazzi del massacro è un romanzo di Giorgio Scerbanenco pubblicato nel 1969 che racconta un’indagine di Duca Lamberti, medico ed investigatore nato dalla penna dell’autore nato a Kiev nel 1911, maestro del noir italiano. 

Gli alunni della Crescenzaghi, insegnante della scuola Andrea e Maria Fustagni, sono ragazzi – tutti di sesso maschile –  che potrebbero essere definiti difficili e con alle spalle una condizione familiare di profondo disagio. Hanno un’età che varia dai tredici ai vent’anni e sono figli di prostitute, di ladri, di tossici: vivono in una realtà fatta di delinquenza e di problemi sociali di ogni tipo. Sono adolescenti della più desolata periferia di Milano: molti di questi, inoltre, hanno passato gran parte della loro vita in carcere o in riformatorio. Ecco che insegnare in una classe del genere, nonostante tutta la vocazione di questo mondo, può diventare davvero letale.

L’indagine di Lamberti, accompagnato da personaggi già noti al lettore di Scerbanenco [2], è volta a scoprire chi ha ucciso la professoressa ed è necessario, per fare ciò, un interrogatorio a tutti gli studenti – anche se in realtà le loro attività prevedono tutto all’infuori dello studio – che frequentavano quella scuola. 

Ed ecco che i protagonisti della notte dell’orrore si accusano a vicenda, così che alla fine le varie testimonianze non possono convergere verso una sola ed unica persona. È questa, infatti, la loro linea di difesa. Il commissario Lamberti vuole indagare le responsabilità dei ragazzi e, per farlo, decide di puntare su quelli meno corrotti. Cerca di analizzare la vita degli undici alunni, indagarne il passato, la famiglia, il periodo passato in riformatorio: il tutto con l’obiettivo di scoprire l’origine e il movente di questo delitto. Di fatto Lamberti è convinto che dietro ci sia un mandante e che quindi l’omicidio della Crescenzaghi non sia un semplice atto di violenza caratteristico di delinquenti che per noia decidono di stuprare una donna e di torturarla.

Lamberti riuscirà a scoprire la verità solo aver davvero un’immersione nelle vite dei ragazzi, prendendo contatti anche con i famigliari o con le persone che li conoscono. 

Al di là della storia e del caso risolto – che il lettore avrà il piacere di scoprire alla fine del libro -, sono diversi gli elementi sui quali è opportuna una riflessione. Innanzitutto, un breve accenno sulla mancata canonizzazione di un autore come Scerbanenco che spesso si trova rilegato in una letteratura di genere, quella appunto del noir, come se ciò nascondesse una sorta di mancato riconoscimento assiologico. Come sottolinea Raoul Bruni, infatti, «Il destino di Giorgio Scerbanenco ha qualcosa di paradossale. Da un lato i suoi romanzi noir sono sempre più letti e ristampati, dall’altro permane tuttora un ostinato pregiudizio critico sul suo conto, che lo esclude da ogni canone accademico» [3].
Recentemente molti suoi testi, alcuni anche inediti, sono stati pubblicati da La Nave di Teseo, grazie anche all’aiuto e all’impegno di Cecilia, la figlia dello scrittore. 

Dopo questa parentesi di natura editoriale, ed entrando specificamente nel romanzo del ’69, tre sono gli elementi sui quali è opportuno concentrare l’attenzione: il primo è sicuramente quello legato ai personaggi del romanzo, il secondo è il cronotopo urbano e il terzo è il disagio giovanile che permea tutta la parabola romanzesca.

È inutile negarlo, i personaggi del romanzo, dall’investigatore ai ragazzi, sono tutti dei perdenti. Poco importa se Lamberti riesce a risolvere il caso. L’immagine che viene fuori della polizia è quella di un gruppetto di lavoratori oberati di lavoro, sfiduciati, privi addirittura di quell’arroganza che a volte connota il commissariato. Inutile parlare, poi, della Crescenzaghi e delle assistenti sociali. La vocazione serve davvero a poco, e forse piuttosto che cercare di aiutare questi ragazzi, sicuramente dei casi persi, era più utile fare qualsiasi altro lavoro. Sono illuse, sperano di portare redenzione in un milieu nel quale è praticamente un’impresa impossibile. Lo stesso Lamberti, ex-medico e ora investigatore, lungi dall’assumere i tratti tipici dei commissari un po’ bonari tipici della letteratura secondo novecentesca, è in realtà cupo, triste, arrabbiato, avvilito e demoralizzato. Cerca, con metodi poco ortodossi, di convincere i ragazzi a collaborare: compra delle sigarette, li invita a casa propria, compra loro dei vestiti nuovi. Per quanto riguarda i ragazzi invece, occorre trattarne separatamente, perché i questi sono inestricabilmente legati al disagio giovanile che pervade ogni angolo di quella scuola.

Il romanzo è ambientato nella periferia della Milano degli anni Sessanta. È un mondo opprimente, grigio, scuro e soffocante. Tuttavia, ne I ragazzi del massacro Milano è solo uno sfondo. D’accordo, vengono citate delle strade, delle piazze, ma niente di più: non vengono indagate, attraversate, percorse. Siamo di fronte ad un romanzo pressoché fermo, immobile. I luoghi principali sono la scuola, il commissariato e la casa di Lamberti. Questa caratterizzazione della città è abbastanza atipica rispetto a gran parte della produzione di Scerbanenco. Milano in molti romanzi non ha nulla da invidiare a città americane dove inseguimenti, sparatorie e fughe sono all’ordine del giorno: è questa, infatti, una delle caratteristiche del noir. Questo carattere di atipicità si rifrange anche nell’omicidio. Se in molti racconti ad esempio di Milano Calibro 9 (1969) vi sono pistole, bombe ad orologeria ecc., un omicidio di questo tipo, con tortura e violenza sessuale annesse, è differente, certamente più macabro, meno studiato, forse, ma sicuramente più violento e raccapricciante. Ancora, l’omicidio sottolinea quell’elemento di immobilità e di claustrofobia che forse è la nota prevalente del romanzo: nessuna fuga e nessun inseguimento. Una classe di qualche metro quadrato, null’altro.

L’ultimo elemento, sicuramente il più interessante da analizzare, è il disagio giovanile.
Nel secondo capitolo del romanzo vengono presentati i ragazzi e, indagando sul loro passato e sul loro presente, Lamberti scopre che molti sono figli di genitori alcolizzati, chi è orfano, chi è affidato alla zia, ecc. Pochi, se non pochissimi, sono bravi ragazzi. Il romanzo di Scerbanenco mostra infatti il peggio della gioventù milanese degli anni Sessanta, spesso proveniente dalla periferia più emarginata. Attenzione, però: il confronto con i ragazzi di vita di Pasolini o i personaggi di Testori – ma si potrebbero aggiungere anche i giovani protagonisti dei romanzi di Umberto Simonetta – non può e non deve porsi al lettore.
Se da un lato – ed è il caso Pasolini Testori – parliamo di espedienti per sopravvivere, di un mondo ai margini della legalità e della produttività, occorre però sottolineare come essi siano però incapaci di azioni troppo violente e di veri crimini. Non ci sono stupri efferati, torture, sangue. D’accordo, in alcuni casi il morto magari ci scappa anche, ma non è certo l’elemento principale sul quale converge la disperata vitalità dei protagonisti. Prevalgono i furti, qualche piccola rapina, una rissa. Siamo lontano dall’avanzata della criminalità efferata dei romanzi noir di Scerbanenco.

La dimensione di novità nell’opera dell’autore è stata proprio quella di voler raccontare in maniera reale, cruda, – e soprattutto veritiera – il degrado vissuto da un gruppo di ragazzi, il quale poi si è riverberato in violenza, disprezzo per le donne, egocentrismo arrogante e senso dell’impunità.

I ragazzi di vita lasciano così spazio a dei ragazzacci, sottolineando come purtroppo il luogo in cui si nasce, le persone che si incontrano sin da piccoli lascino una marca, un destino spesso difficile da eliminare. Ragazzi che hanno bisogno d’aiuto, forse, oppure ragazzi che è meglio lasciare al proprio destino di criminali?  Occorrerà attendere ora la supplente, chissà cosa dirà.

Alessandro Crea


[1] G. Scerbanenco, I ragazzi del massacro, Garzanti, Milano, 2014, p. 7
[2] I ragazzi del massacro (’69) fa parte dei romanzi che hanno come protagonista Duca Lamberti. Il primo, Venere privata (’66), è il romanzo che racconta anche la vicenda privata del protagonista, ex-medico radiato dall’ordine perché colpevole di eutanasia, e per questo condannato a tre anni di carcere. Gli altri libri sono Traditori di tutti (’66) e I milanesi ammazzano al sabato (1969).
[3] R. Bruni, Giorgio Scerbanenco tra rosa e nero, disponibile online: http://www.minimaetmoralia.it/wp/giorgio-scerbanenco-bianco-nero/

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