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Ninetta e Nanà: ricerca del piacere e difesa della dignità femminile in due protagoniste moderne e cittadine

Ninetta e Nanà sono, rispettivamente, le protagoniste di due opere scritte in periodi distanti ma accomunate da un unico elemento: una figura femminile che, tra Fortunes and Misfortunes (Defoe), mostra un istinto vitale e un sentimento di pulsione e di ricerca ossessiva del piacere. Entrambe le protagoniste ottocentesche sono caratterizzate da un atteggiamento di difesa della dignità femminile e, allo stesso tempo, di rivendicazione di onestà professionale. 

Disegno di Giulia Pedone

È il 1814, Milano vive un acuto momento di crisi e di trapasso storico e Carlo Porta, «il poeta della città di Milano» (Banfi), scrive La Ninetta del Verzee, un poemetto in dialetto milanese affidato ai toni affabilmente magnetici ed eccitanti del monologo: Ninetta racconta, con la propria voce, la sua storia e le sue vicissitudini mostrando, in quello che viene ad essere un vero e proprio Bildungsromanal femminile, la parabola di una donna che per amore intraprende «il più infimo dei mestieri» (Bezzola) decidendo di prostituirsi. 

Tuttavia la “fresca, giovena e grassa” Ninetta, priva di qualsiasi atteggiamento censorio e moralistico, non si racconta come una donna straziata, costretta in un lavoro considerato deplorevole, disonorevole e indegno: al contrario, la donna evidenzia una posizione di rivendicazione di onestà professionale, fonte di sostentamento e di sopravvivenza.

La narratrice, orfana di genitori, ha dei tratti in comune con la donna con cui prende avvio la moderna civiltà letteraria, ovvero la protagonista di The Fortunes and Misfortunes of the Famous Moll Flanders (1722) di Daniel Defoe: Moll Flanders, appunto.

Ninetta, ex-pescivendola al mercato del Verziere, a seguito di un amore rivelatosi traditore: è costretta a prostituirsi e, nella finzione poetica del monologo del ’14, la prostituta si rivolge ad un “tu” ben preciso, il Baldissar, un suo cliente, il quale, prima di consumare un rapporto sessuale, ascolta dalla voce della protagonista tutta la sua storia, le sue fortune e le sue sfortune.

Per le strade di Parigi, quasi settant’anni dopo, Anna Teresa Coupeau, soprannominata semplicemente Nanà, cammina trascinando con sé tutto un turbinio di passioni, di voglia di vivere e una sorta di irrefrenabile propensione al vizio che la porterà in molti letti della Parigi del Secondo impero: è la protagonista dell’omonimo Nanà, romanzo di Emile Zola del 1880. Lei è la “Mosca d’oro” che, con tratti spesso lontani da quelli della putain au grand coeur che Sue [1] aveva rappresentato con il personaggio di Gouloise, è in continua caccia di uomini, mostrandosi nello stesso tempo carnefice e vittima inconsapevole della sua stessa condotta considerata immorale dai “buoni costumi” che, ipocritamente, la cercano per soddisfare voglie e desideri nascosti.

Il romanzo racconta la parabola di una ragazza di provincia che, a differenza di Ninetta, vera e propria donna del popolo, diventa una prostituta d’alto bordo tra le più richieste di Parigi. Tuttavia, per colpa del caos nel quale si colloca la sua esistenza, Nanà trascina nel vizio e nella rovina ogni uomo e donna con i quali decide di accompagnarsi. Il romanzo, pubblicato prima in rivista, riesce a descrivere dall’interno la vita del Secondo impero e il suo sistema dei valori. Nanà nel corso della sua storia rinuncia più volte alla possibilità di redimersi socialmente: è una donna libera che ama il suo istinto vitale e, proprio in virtù di questo, prende a calci la possibilità di sposarsi e di “sistemarsi”: non riesce a sentire nessun posto come casa, essendo di sua natura svincolata da ogni tipo di radice. 

Il confronto tra l’ex-pescivendola milanese e la putaind’alto borgo di Parigi, nonostante possa sembrare incongruo, è in realtà efficace in quanto vi sono molti elementi di similarità tra le due donne. Innanzitutto il mestiere: entrambe prostitute per motivi diversi, nei loro racconti abbondano elementi legati alla corporeità, alla fisicità e all’eros femminile, il quale costituisce elemento fondante sia della fame di vita delle due protagoniste sia dell’ordito narrativo che le due opere, morfologicamente difformi, compongono.

Occorre sottolineare come sia Ninetta che Nanà siano due protagoniste di opere che hanno come titolo proprio il loro nome-soprannome. Nella civiltà del romanzo, fin dalle origini sette-ottocentesche, molti romanzi portano come indicazione paratestuale non solo il nome della protagonista ma, soprattutto, il cognome: ecco allora Moll Flanders e Lady Roxana, Madame Bovary, Thérese Raquin e, infine, Anna Karenina [2]. Spostando l’attenzione sul poemetto di Carlo Porta e sul romanzo di Zola, invece, colpisce che a fronte di una serie di protagoniste che danno il titolo ai romanzi con il proprio nome e cognome, le protagoniste di Porta e Zola vengano poste al centro della loro scena senza alcun tipo di riferimento alla loro specifica identità né sociale né collettiva. È sufficiente, quindi, solamente il nome, quasi a sottolineare una femminilità confinata

Se da un lato questa riflessione porta quasi a considerare le due donne come poco rilevanti da un punto di vista sia narrativo che sociale – mancando di fatto il cognome, connotato principe dell’appartenenza collettiva – dall’altro le vicende raccontate da Porta e Zola mostrano la grande modernità delle due donne.

Innanzitutto occorre ribadire come le protagoniste siano due donne moderne poiché cittadine: il contesto di Milano e di Parigi con le strade, gli edifici e la realtà anche storica costituisce un «cronotopo urbano» nel quale le due prostitute vivono e ripongono i loro desideri, i loro successi e le loro numerose rovine. Nonostante la mancanza di un cognome e di una famiglia, caratteristica principe in fin dei conti del «personaggio in divenire» (Bachtin), le due donne, calate in una realtà cittadina, grazie al contesto urbano si contraddistinguono e si identificano sia come donne che come prostitute.

Un altro elemento che evidenzia la modernità di Ninetta e di Nanà è anche «il nesso tra la difesa della dignità femminile e la rivendicazione di onestà professionale, fonte di sopravvivenza quotidiana» [3]. La protagonista di Porta, con un gesto straordinario e anacronisticamente moderno, rompe la sudditanza verso l’amante e riscatta una dignità che, durante la sua vicenda, è rimasta segnata e offesa:

Nanca el cuu poss salvamm sangua de dì!
Malarbetto ludron, brutto pendizzi!
el cuu l’è mè, vuj fann quell che vuj mì! [4]

In Ninetta, con uno scarto d’orgoglio, «nella schiettezza di un’ostentazione di possesso che non conosce ombra di vergogna colpevole» riecheggia uno dei motti più celebri della novecentesca cultura femminista di gender: «l’utero è mio e lo gestisco io».

L’incredibile modernità della putain au grand coeur milanese è proprio nell’anticipare di oltre un secolo una tematica non solo pienamente novecentesca, ma anche contemporanea. La rivendicazione della propria dignità femminile è la stessa che emerge fortemente nell’ultimo periodo, dopo casi come quello dello stato dell’Alabama, nel quale è stato vietato l’aborto anche in caso di stupro o di incesto e le donne, vestite di rosso come le ancelle del romanzo di Margaret Atwood (Il racconto dell’Ancella, Ponte alle Grazie, 2017), hanno manifestato pretendendo i propri diritti rivendicando la tutela della dignità femminile, sottolineando un atteggiamento volto all’autodeterminazione, proprio come Ninetta, con tutte le sfumature del caso, faceva nel poemetto del 1814 scegliendo di non sottomettersi all’amore malato del Pepp, l’uomo da lei amato rivelatosi, poi, un traditore.

Le due donne, lungi dall’esser confinate in quattro mura domestiche o in una condizione miserabile e indegna, sono, al contrario, due donne moderne, emancipate, libere, sessualmente disinibite che, non avvalendosi dei toni melodrammatici del vittimismo, raccontano con una grande passione gioie e dolori, Fortunes and Misfortunes che hanno contrassegnato la loro esistenza. 

Alessandro Crea


[1] Eugène Sue, I misteri di Parigi (1843).
[2] Il riferimento è alle seguenti opere: Moll Flanders (1722) e Lady Roxana (1724) di Daniel Defoe, Madame Bovary (1857) di Gustave Flaubert, Thérese Raquin (1867) di Èmile Zola e Anna Karenina (1877) di Lev Tolstoj.
[3] G. Rosa, Fortune e sfortune della famosa Ninetta, che nacque al Verziere e divenne prostituta, in Identità di una metropoli. La letteratura della Milano moderna, Torino, Aragno, 2004, pp. 23-50.
[4] Carlo Porta, La Ninetta del Verzee, in Poesie, a c. di Dante Isella, Meridiani Mondadori, Milano 1975.


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