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Uomini con teste bestiali

Fotografia di Filippo Ildreico

Alberto Savinio, nato Andrea de Chirico, inizia in giovane età gli studi musicali. Artista eclettico, si avvicinerà poi alla pittura metafisica del fratello Giorgio, cercando di penetrare i soggetti e rappresentare l’essere celato sotto la maschera umana.

Una torre brucia sullo sfondo. Dalla finestra di un palazzo si vedono scatenarsi su di esso i fulmini. Protagonisti della scena, al di qua della finestra, due figure umane con teste di animali. L’una, seduta compostamente su una poltrona, ha in grembo un mazzo di fiori. La sua testa è presa in prestito da un pellicano, il cui occhio guarda fisso lo spettatore. L’altro, alle sue spalle, un nudo con testa di cervo, con la mano destra compie gesti imperiosi.

Questo il quadro I genitori di Alberto Savinio, nome d’arte di Andrea de Chirico. Cosa si cela però dietro l’insolita rappresentazione? Le parti animali altro non sono che simboli provenienti dal Medioevo. Quale animale è infatti più rappresentativo dell’amore materno rispetto al pellicano, ritenuto in grado di svenarsi con il becco per nutrire i propri piccoli? La figura maschile unisce invece la severità dei gesti minacciosi con la dolcezza degli occhi da cervo, animale simbolo dell’astuzia. Il nudo mostra inoltre un corpo perfetto, quasi scultoreo: la figura riafferma così il proprio ruolo di amante, oltre che di marito.

Con questi ritratti Savinio indaga l’essenza dei suoi soggetti, in un’arte in cui il metafisico non è ricerca di un mondo altro, situato oltre la realtà. Al contrario quello che vuole fare l’artista è proprio penetrare l’essenza delle cose. In quest’ottica i suoi “uomini con teste bestiali”, come li definisce, non sono che «la ricerca del carattere, di là dagli eufemismi della natura, di là dalle correzioni della civiltà, di là dagli abbellimenti dell’arte» [1].

Per ottenere questo effetto lavora con metodo e precisione, e soprattutto cerca di dipingere sempre più forte: a ogni pennellata, a ogni segno è cioè richiesto il massimo di intensità, il massimo risultato. Tramite quest’attenzione, questa ricercata forza espressiva, il moderno Orfeo si propone di “cantare” la parola pittorica. Il suo obiettivo non è affatto perseguire un’aderenza sempre più stretta alla realtà, ma proprio il contrario: «staccare la “cosa” dipinta dalla cosa reale, per implicarla in sé, per isolarla» [2], nella convinzione che non la realtà, ma la pittura somigli a noi.

Artista versatile, Savinio parte dagli studi musicali, per poi approdare a letteratura, drammaturgia, pittura. Proprio nell’attività musicale comincia forse a emergere la tendenza a squarciare i veli della realtà se Apollinaire nel 1914 gli attribuisce «la speranza e la volontà di portare sulla scena il soffio potente di una vera poesia» e la convinzione «di poter presentare a teatro e far emergere con la sua musica tutto quello che, nella nostra epoca, si rivela sotto una forma strana ed enigmatica» [3]. 

Passato alla pittura, in cui debutta nel 1925, la sua arte, a detta di Giorgio de Chirico all’altezza del 1940, fa riflettere «intelligenze di ogni levatura e stupidità di ogni calibro» [4]: un vero fenomeno che getta esche tra la folla dei suoi contemporanei. 

Elena Sofia Ricci


[1] Aberto Savinio in una mostra personale nelle nostre sale, Bollettino della Galleria del Milione, 15 aprile 1940 – 1 maggio 1940
[2] Ibidem
[3] https://www.albertosavinio.it/it/biografia
[4] Aberto Savinio in una mostra personale nelle nostre sale, Bollettino della Galleria del Milione, 15 aprile 1940 – 1 maggio 1940

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