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Gala: l’ossessione di Dalì diventa arte

Fotografia di Filippo Ilderico, © Filippo Ilderico, 28 febbraio 2019
Fotografia di Filippo Ilderico

Nel 1929 Salvador Dalì conosce Gala, Elena Ivanova Diakonova (1894 – 1982), che diventerà la sua compagna e la sua musa per il resto della vita: da quel momento in avanti moltissimi quadri dell’artista catalano si ispirano alla potente forza e alla carica sessuale della donna russa, che aveva già incantato il poeta Paul Eluard e il surrealista Max Ernest.

L’incontro tra Dalì e Gala avvenne in occasione della visita di un gruppo di surrealisti – Renè Magritte e sua moglie, Paul Eluard e la consorte Gala – affascinati dalla stravagante personalità del pittore, ancora agli inizi della sua carriera ma già conosciuto dai maggiori artisti dell’epoca.
Dalì era appena arrivato a Parigi per presentare il film Un chien andalou, realizzato insieme all’amico Luis Buñel; l’apparizione di Gala fu per lui un ritrovamento più che una scoperta. L’artista, che amava definirsi genio e veggente, aveva già previsto l’arrivo di Gala nella sua vita: la riconobbe subito perché – come scrive lo stesso Dalì nella sua Vita segreta – aveva le stesse spalle nude della ragazza dei suoi sogni giovanili; ragazza che egli aveva mitologicamente battezzato “Galuska”.

La conferma che si trattava di lei era proprio il fatto che Gala aveva esattamente la struttura corporea della maggior parte delle donne da lui dipinte e disegnate. Il pittore, raccontando una delle sue passeggiate con Gala lungo la scogliera di Capo Creuso, scrive: «E di tutti i miei tremendi attacchi di risa che ella aveva già udito, questo, scatenato in suo onore, era il più catastrofico, quello in seguito al quale dalla somma altitudine mi gettai ai suoi piedi! Disse: “Ah, ragazzino! Non ci lasceremo mai!». E così fu: Gala lasciò Eluard per Dalì e i due vissero tra la Spagna, Parigi e New York. Nel 1958 si sposarono nella Cattedrale di Girona.

Dall’arrivo di Gala una parte rilevante dell’opera dell’artista catalano gravita attorno alla figura e alle forme della donna, ritratta nei più svariati modi. Moltissimi sono i quadri interamente dedicati a lei e altrettanti quelli in cui la sua figura si inserisce tacitamente tra gli oggetti e le dettagliate architetture del pittore: se ne può riconoscere ora il volto, ora il corpo nudo, ora le spalle, i capelli o il fiocco blu scuro sulla nuca. In L’arpa invisibile, fine e media (1932) la vediamo, minuscola, allontanarsi di spalle; in Sobborghi della città paranoico-critica: ai margini della storia europea (1936) sorride al centro della composizione porgendo un grappolo d’uva all’osservatore; in Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana, un secondo prima del risveglio (1944) e in L’apoteosi di Omero (1944-45) il suo corpo nudo, sdraiato in primo piano, cattura immediatamente l’attenzione con le sue forme morbide. Persino in L’enigma di Guglielmo Tell (1933) Gala è presente ed è lo stesso Dalì a svelarlo: «dentro una nocciolina accanto al suo piede c’è un neonato, il ritratto di mia moglie Gala».

La figura della moglie, volubile e impositiva – Gala tradiva regolarmente il marito, che però la incoraggiava a farlo, sostenendo al tempo stesso di essere ancora vergine al momento in cui la conobbe e di non essere mai stato con un’altra donna in tutta la sua vita – diviene poi una vera e propria ossessione per Dalì. Il pittore catalano inizia a dipingerla in tutte le sue forme; egli ne attraversa e rivisita il corpo: Mia moglie, nuda, che guarda il suo corpo diventare scale, tre vertebre di una colonna, cielo e architettura (1945); ne indaga il volto con ritratti dalle sfaccettature ogni volta sorprendenti per la diversità delle interpretazioni date all’unico soggetto: Galarina (1944-45), Tre volti di Gala comparsi su rocce (1945), Galatea con sfera (1952) e molti altri. Numerose sono anche le opere in cui la donna è vista di spalle: Gala guarda il Mediterraneo che a venti metri si trasforma nel ritratto di Abraham Lincoln (1976), Dalì solleva il mediterraneo per mostrare a Gala la nascita di Venere (1977), Battaglia tra le nuvole (1974), Dalì di spalle che dipinge Gala di spalle eternizzata da sei corni virtuali provvisoriamente riflessi da sei specchi veri (incompiuto) (1972-73).

Infine, Gala viene trasfigurata e sublimata a tal punto da trasformarsi nella mitologica Leda (Leda atomica, 1949) e addirittura nella Madonna stessa. Dopo il 1945, infatti, molti dei temi delle opere del pittore sono dettati dalla nuova fede verso il misticismo, che aveva profondamente cambiato Dalì; da quel momento in poi l’artista inizia a definirsi “ex-surrealista” e a trasporre la materia religiosa nei suoi quadri. Egli stesso indica la causa del suo mutamento nell’esplosione della bomba atomica che lo sconvolge al punto da indurlo al «misticismo, vale a dire l’intuizione profonda di ciò che è la comunicazione diretta col tutto, la visione assoluta in grazia della verità, in grazia di Dio.» e aggiunge «capii che il mezzo espressivo figurativo fu elaborato una volta per tutte e con perfezione ed effettività più assolute durante il Rinascimento e che la decadenza della pittura moderna deriva dallo scetticismo e dalla mancanza di fede».


Ancora una volta però la forza di Gala riesce a farsi strada tra i nuovi soggetti e non solo come presenza aleggiante: il suo volto è riconoscibile proprio in quello della Madonna e non a caso lo stesso Dalì aveva più volte descritto Gala come la sua salvatrice. Nelle sembianze di Maria la donna è visibile nella Madonna di Port Lligat (1950), nella Assumpta corpuscularia lapislazulina (1952) ma anche ne Il concilio ecumenico (1960) e nella Scoperta dell’America ad opera di Cristoforo Colombo (1958-59).

Infine, negli ultimi anni della sua vita, Gala passa dal ruolo di musa a quello di coautrice sicché Dalì inizia a firmare molti dei suoi quadri con entrambi i nomi: “Gala-Salvador Dalì”.
Alla figura di Gala, è stata dedicata dal Museu Nacional d’Art de Catalunya, un’intera mostra a Barcellona tra luglio e ottobre 2018, con il fine di evidenziare come lei stessa sia divenuta un’artista. Tra i sessanta pezzi di Dalì sono stati infatti esposti dipinti, disegni e fotografie di altri surrealisti quali Max Ernst, Man Ray, Cecil Beaton e Brassaï che sono stati ispirati dall’artisticità intrinseca alla donna stessa.

Anna Nicolini

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