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La preveggenza in “Sette note in Nero”

Fotografia di Emma Strocchi
Fotografia di Emma Strocchi

Nel 1977 Lucio Fulci ritorna al genere giallo con Sette note in Nero, sostituendo l’orrorifico argentiano con le componenti più peculiari della settima arte: vista e suono.

Dopo 5 anni e altrettanti progetti, Lucio Fulci con Sette note in nero torna a riproporre un giallo che mancava dal suo repertorio da Non si sevizia un paperino.

Il collegamento tra questi due film, come una sorta di trait d’union nella cinematografia horror-thriller fulciana, che si distanzia dalle pellicole di altro genere da lui dirette, è evidenziato dalla chiara autocitazione presente in Sette note in nero: la violenta morte, così cruda e naif, nel finale di Non si sevizia un paperino è infatti riproposta un lustro più tardi, proprio all’inizio del film del ’77.

In Sette note in nero i protagonisti principali della vicenda sono Virginia Ducci – interpretata da Jennifer O’Neill – e la sua capacità di preveggenza che, già in tenera età, le ha dato l’ingrata possibilità di scrutare ex ante la cruenta morte di sua madre.

Diventata nel frattempo moglie di un nobile toscano, Virginia, recandosi in una villa comprata dal marito, si imbatte di nuovo in una visione, che le fa scoprire il cadavere di una giovane ragazza murata viva all’interno dell’abitazione appena acquistata. Il film, dunque, sembrerebbe ammiccare ad un classico whodunit, incentrandosi sulla ricerca dell’assassino della giovane. Le apparizioni parapsicologiche della protagonista, però, con il passare dei minuti, sembrano sempre meno appartenere ad eventi già accaduti e sempre più essere segni premonitori di un qualcosa che sta per avvenire.

Ultimo sussulto di Fulci prima di entrare nella sua fase gore, in cui l’horror sovrannaturale è quasi sempre il fulcro principale, Sette note in nero è un film che può, sotto alcuni aspetti, collocarsi come un unicum nella filmografia del regista romano. Esso costituisce e costruisce la propria trama e la sua suspense attraverso i più classici mezzi cinematografici, evitando la crudezza visiva in senso stretto, come invece Fulci farà in seguito.

Se dunque la vista ed il suono sono la caratteristica principale per ogni film, in Sette Note in Nero risultano essere le principali, ed uniche, prerogative grazie alle quali la trama si dispiega. La componente sonora si concentra nel famigerato motivo dell’orologio e del suo carillon, ideato dal trio Frizzi-Bixio-Tempera e chiara citazione al Gatto nerodi Edgar Allan Poe. Il suono è qui elemento di rivelazione, di smascheramento, contrariamente alla componente visiva caratterizzata dalle sequenze esperite da Virginia e, conseguentemente, da tutti gli spettatori.

Questa «serie di dettagli di scuola espressionista» [1] – Un posacenere blu su cui è poggiata una sigaretta ancora accesa, un taxi giallo, uno specchio infranto, una stampa di un quadro di Vermeer scarabocchiata – che appaiono nella mente di una protagonista «che vede nel presente il suo futuro e pensa che, in realtà, sia un fatto avvenuto nel passato» [2], rappresentano invece il mezzo con cui Fulci riesce «ad astrarre verso l’inquietante pure e semplici inquadrature di oggetti», celando la verità degli avvenimenti in un dedalo temporale.

Edoardo Rugo


[1]https://quinlan.it/2014/10/14/note-in-nero/
[2]https://www.cgentertainment.it/news/settenotteinnerospecialenocturnocinema/

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