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La doppia “Buona Ventura” di Caravaggio

Fotografia di Filippo Ilderico

Caravaggio, nel suo periodo “chiaro”, dipinge due versioni di un dipinto di genere: La buona ventura, una condanna morale rivolta a chi tenta di conoscere il proprio futuro invece di attendere che si compia.

Spesso gli storici dell’arte usano distinguere la produzione dei pittori suddividendola in una serie di periodi, in molti casi denominati con il nome della città in cui hanno operato (periodo francese romano, milanese, etc.), in altri sulla base della tipologia dei quadri dipinti (metafisico, simbolico, naturalista etc.), in altri ancora con il nome di un colore che contraddistingue alcune opere (famosissimo ad esempio il periodo blu e quello rosa di Pablo Picasso).

A queste classificazioni non si sottrae neppure Caravaggio. Questi quadri, come si vedrà, possono annoverarsi nel suo primo periodo romano, quello che è stato definito “periodo chiaro” di Caravaggio, in cui il Merisi non aveva ancora scoperto la forza del chiaroscuro, che sarà l’elemento peculiare della sua pittura, quel quid che, insieme alla forza e al realismo delle figure, scriverà il suo nome nella storia.

Il notissimo pittore Michelangelo Merisi o, più comunemente, Caravaggio (paese bergamasco che si pensava avesse dato i natali all’artista) lavora in gioventù a Milano presso la bottega di Simone Peterzano, allievo di Tiziano Vecellio, per poi trasferirsi, attorno al 1592, a Roma.

Qui passerà di bottega in bottega e lavorerà per l’allora apprezzatissimo pittore Giuseppe Cesari, anche detto Cavalier d’Arpino. Ma la vera svolta nella vita di Caravaggio sarà segnata dall’incontro con due grandi mecenati romani, figure eminenti del tempo, che terranno il pittore sotto la propria ala: il cardinale Francesco Maria Del monte ed il marchese Vincenzo Giustiniani.

Durante questo periodo, definito appunto “chiaro”, l’artista dipinge molte scene di genere ovvero si dedica alla rappresentazione di episodi tratti dalla vita quotidiana, i cui protagonisti sono persone comuni, spesso appartenenti a un ceto sociale medio basso.

Tra queste opere ricordiamo la Buona ventura, di cui esistono due versioni: la prima risalente al 1593-1595, anni in cui Caravaggio lavorava per il Cavalier d’Arpino, oggi custodita a Roma, presso i musei Capitolini; la seconda, del 1596-1597, dipinta per il cardinal Del Monte e conservata al Louvre, Parigi.

I due dipinti, che differiscono per le tonalità della luce e per la posizione dei personaggi, ritraggono il medesimo episodio: un giovane nobile in compagnia di una donna, plausibilmente una zingara, che si fa leggere la mano per avere una predizione futura. Il ragazzo, in attesa di scoprire il proprio futuro, concentra tutta la propria attenzione sul viso della donna e non si rende conto che, intanto, lei lo sta derubando: gli sta sfilando l’anello nuziale, la fede.

In entrambe le tele è evidente come ogni dettaglio venga reso con cura, soprattutto la raffigurazione degli abiti dei due personaggi tramite i quali è possibile vedere in lui, abbigliato da tipico nobile seicentesco, un giovane ricco e aristocratico e in lei, donna dalle unghia sporche e dalla testa avvolta da un turbante, una zingara. Questi particolari, inoltre, rispecchiano perfettamente la volontà del pittore di raffigurare il mondo che lo circonda con estremo realismo nonchè rispecchiano la sua scelta, spesso chiaramente influenzata dai committenti, di dipingere non soltanto soggetti aulici, bensì anche quelli più “bassi”. In lui non esiste gerarchia tra i soggetti.

Ad accomunare le due tele sulla Buona Ventura è anche la presenza di una morale, seppur forse di natura diversa. Nella Buona Ventura del 1593-1595 si tratta infatti probabilmente di una condanna rivolta al giovane caduto in tentazione: non è un caso che la zingara gli sottragga proprio la fede nuziale e non un qualsiasi anello. Nella versione posteriore invece è possibile supporre che si tratti di una condanna dei vizi ma anche, e soprattutto, verso l’atto che il giovane compie chiedendo a una chiromante di predirgli il futuro, atto irrispettoso verso Dio e verso i suoi dettami. Questa “nuova” morale si può considerare come veritiera per via del fatto che, in quegli anni, come si è detto, il committente dell’artista era un cardinale, il cardinale Del Monte.

In ogni caso, ciò che lo spettatore del ventunesimo secolo percepisce nelle opere di Caravaggio, a pelle, è innanzitutto la verità di situazioni e di emozioni. Non c’è finzione, nelle sue tele. E in quest’ottica La buona ventura nel raffigurare l’inganno di una chiromante a danno di uno sprovveduto, ma saccente giovane alla moda desideroso di conoscere, come tutti, ciò che il destino gli riserva, risulta un’opera attuale che rappresenta sentimenti presenti nell’animo umano in ogni tempo.

Marta Casuccio

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