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L’Assommoir: così Zola versa i sentimenti nell’alcol

Fotografia di Filippo Ilderico

Conosciuto nella versione italiana sotto il nome de L’ammazzatoio, il romanzo naturalista – datato 1877 – ripercorre in chiave alcolista il degrado del sottoproletariato parigino. Per ogni goccia versata, un giorno di vita scaduto.

Settimo volume del ciclo I Rougon-Macquart, l’opera firmata dall’autore francese Émile Zola rispecchia nel riflesso dei distillati la rovina francese della classe borghese.

Il romanzo è sintomo di una sofferente inettitudine sociale, la quale sacrifica l’esistenza, dipinta come riciclati stracci sporchi prossimi ad essere buttati. È proprio la protagonista dal candore macchiato – Gervaise Macquart – a rappresentare la pezza più consumata e lacerata. Madre di due figli, la donna si stabilisce a Parigi con lo storico amante August Lantier – sfigurata anima dalla passione poligama e oziosa. Incapace di resistere alla crisi economica della coppia e al proibito fascino di un’amante, il compagno abbandona una distrutta Gervaise.

Ben presto la donna riesce a trovare conforto tra le braccia del neo sposo zincatore Coupeau, lavorando contemporaneamente come lavandaia tanto da trarne dei benefici economici. Tuttavia la felicità della coppia – da cui nasce la figlia Nanà – trova il suo tragico epilogo nel momento stesso in cui Lantier ripiomba nella vita di Gervaise, decretando ufficialmente i dolori parigini.

Da questo momento in poi, sarà l’alcol a scandire la quotidianità dei personaggi; si parla di toccare il fondo del bicchiere, sempre svuotato così come gli animi dei protagonisti.

È l’Assommoir, la distilleria del padre di Coupeau, a decretare il rapido declino delle personalità, strozzando nell’alta gradazione del suo abbraccio mortale le loro vite soffocate. Lentamente ogni soggetto si ritroverà a vivere – goccia dopo goccia – il completo esaurimento della propria esistenza destinata a perdersi liquefatta in un mare di dolori e perdizione.

La prima vittima dell’alcolismo sarà proprio l’onesto Coupeau, trascinato verso la rotta dei liquori dalla temporanea malattia e dalla cattiva influenza di Lantier. Così i due uomini diventano complici nelle bevute e seviziatori della propria anima, ormai ridotta a cumuli di etanolo e futuro spezzato. Da una parte un Lantier che sfoga la sua natura da sadica sanguisuga in una sorta di brindisi, dall’altra un Coupeau che cerca la più disperata consolazione nel fasullo calore di un distillato.

Il bacio fatale della bottiglia si trasforma nella condanna a morte per Coupeau, il quale vive gli effetti della sua dipendenza come un consumo che sfocia in numerosi ricoveri in manicomio verso la fine più ovvia: la tomba.

Gervaise, inizialmente simbolo della forza e della determinazione, evapora lentamente e dolorosamente come lo stesso alcol che ha ufficializzato la sua imminente rovina.

Apice dell’ascesa al disfacimento è la disperata vendita della lavanderia per affrontare le difficoltà monetarie, che porta la donna ormai sola a rifugiarsi in quello stesso ammazzatoio, il quale aveva mietuto come prima vittima il suo amato marito.

Nuovamente l’alcol prende il posto dei personaggi e decide per loro, rigirando lame bollenti nelle piaghe di una coscienza persa e un disperato bisogno di abbandonarsi al traviamento più totale.

Ogni goccia versata e ingerita rappresenta l’avvicinarsi alla data di scadenza anche per Gervaise; la protagonista, ritrovatasi abbandonata a sé stessa versando lacrime amare nella distilleria, muore in totale solitudine nel proprio sottoscala, di fame e di stenti.

In uno scenario di cambi repentini e incoerenza di vita, l’unica costante che designa sia l’orologio che la fossa dei personaggi è proprio l’alcol: quel liquido velenoso che corrode fegato e futuro, lasciando dietro una scia maleodorante e i ricordi come cocci di vetro sparsi.

Manuela Spinelli

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