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King contro la mistificazione pop-intellettuale della scrittura sotto effetto

Fotografia di Filippo Ilderico

Lo Stephen noto autore di gialli, nella sua Autobiografia di un mestiere (On Writing, 2000), mette a nudo le dipendenze da alcol e stupefacenti che segnarono profondamente l’intera sua vita, sfatando il mito del poeta maledetto.

Nell’immaginario collettivo riposa una credenza dalle radici romantico-decadentiste, secondo cui il genio artistico non si accompagnerebbe poi così male all’assuefazione da alcolici e stupefacenti. Il Decadentismo ne fece marca della propria poetica, ma non esaurì la validità di questa latente convinzione: da Poe a Rimbaud, passando per gli Scapigliati e arrivando fino a Bukowski, la sensibilità acuita degli artisti trova buone ragioni di proteggersi dalla crudeltà del mondo nell’alienazione dei «paradisi artificiali» [1], così definiti da Baudelaire, delle droghe e dell’alcool.

Se già per lo scrittore francese con i Fiori del male s’infrange l’illusione di trovare nelle sostanze psicotrope la libertà dai mali terreni, Stephen King nella sua Autobiografia di un mestiere, On Writing, non usa pietà nel definire «uno scrittore tossicodipendente nient’altro che un tossicodipendente: sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. […] Non importa se sei James Jones, John Cheever o un barbone avvinazzato che russa alla Penn Station» [2].

A parlare non è un moralista incallito, bensì un uomo che si è visto svuotare un sacco pieno di lattine di birra, flaconcini di cocaina e dosi di Valium, tutti trovati nel suo studio, dalla moglie, esausta delle sue dipendenze, in faccia ad amici e parenti.

Prima ancora della presa di coscienza, fu il subconscio di scrittore a denunciare la gravità della condizione: come racconta lo stesso King, questo «cominciò a gridare aiuto nell’unico modo che conosceva, attraverso i miei romanzi e i miei mostri; tra la fine del 1985 e l’inizio del 1986 sfornai Misery, in cui un autore di best-seller è tenuto prigioniero e torturato da un’infermiera psicopatica.  […] Annie era la bamba, Annie era l’alcol ed io ero stufo di essere il suo schiavetto» [3]. Fu poi il momento di Le creature del buio, libro di fantascienza in cui l’eroina scopre un’astronave da un altro pianeta con ancora l’equipaggio a bordo, «alieni che ti penetrano nella testa… e be’, te la incasinano per benino, dotandoti di un’energia prodigiosa e di un’intelligenza passeggera» [4] – scrive sempre l’autore americano, che stese il romanzo con un battito cardiaco di centotrenta al minuto e cotton fioc al naso per fermare l’emorragia da cocaina.

Le creature deformi e inquietanti che animano i suoi best seller altra origine non hanno che le sue stesse allucinazioni: gli incubi, prima che dei suoi protagonisti, erano suoi. Giunto al punto di dimenticarsi interamente la redazione di uno scritto, Cujo, Stephen non poté tirarsi indietro all’aut-aut della moglie Tabitha: il centro di recupero o le valigie per andarsene.

«L’idea che il processo creativo sia strettamente legato all’uso di sostanze psicoattive è uno dei grandi miti della nostra cultura popolar-intellettuale.» [5] Tra tutti, King addita come principali responsabili E. Hemingway, F. S. Fitzgerald, S. Anderson e D. Thomas: «Sono loro ad aver forgiato per gli angloamericani la visione di una terra di nessuno dell’esistenza, i cui abitanti conducono una vita isolata in un clima di disperazione e soffocamento emotivo. […] La rivendicazione che droga e alcol servano a mitigare una più spiccata sensibilità d’animo non è nient’altro che la solita baggianata opportunistica» [6].

C’è chi si chiederà se mai avrebbero altrimenti potuto vedere la luce personaggi come Annie o Bobbi, se i deliri da stupefacenti non siano stati poi indispensabili per l’accuratezza di certe atroci descrizioni: ciò che è certo è che la validità di un romanzo si misura sulla verità dell’umano che questo narra, su tutta la verità, patologie e allucinazioni comprese.

Alice Dusso


[1] C. Baudelaire, Paradisi artificiali, ed. Pulet-Malassais, 1860.
[2] S. King, On Writing. Autobiografia di un mestiere, ed. Frassinelli, 2015
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem

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