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Realismo e surrealismo ne I Figli delle violenza di Buñuel

Fotografia di Filippo Ilderico

In Figli della violenza Buñuel (1950) mette in scena un racconto brutalmente veritiero dei quartieri più poveri del Messico, senza tralasciare i suoi stilemi caratteristici.

Nel 1933 Luis Buñuel decide di girare Terra senza Pane: pellicola che mostra le precarie condizioni della povera regione della Spagna contadina di Las Hurdes. In seguito si avvicendarono anni problematici per il cineasta spagnolo, costretto a lavorare come documentarista lontano dalla terra natia e a dirigere film di puro stampo commerciale.

Ben 17 anni dopo l’ultimo lavoro impegnato, Luis Buñuel, trasferitosi a Città del Messico, decide di mettere alla luce Los Olvidados (I figli della Violenza). Già dalle prime scene si può intuire la distanza che quest’ultima opera ha con il periodo surrealista di fine anni ‘20: gli argomenti qui trattati dal regista spagnolo vogliono rappresentare le povere condizioni di vita di giovani ragazzi che vivono nella periferia di una grande città in piena urbanizzazione, come la Città del Messico degli anni ‘50 [1].

Il film inizia con una rapida carrellata di immagini da cartolina delle grandi città mondiali, quali Parigi, Londra e, come ultima la già citata capitale messicana: alla bellezza del centro storico segue il contraltare dei bambini che giocano in strade rovinate e polverose, prima vera scena della pellicola. La storia proseguirà con le avventure di questi ragazzi e degli abitanti della periferia, tra povertà, violenza e brutalità.

Buñuel dopo gli anni dedicati al surrealismo con opere come Un Chien Andalou vuole proseguire in chiave narrativa il lavoro svolto con Il Grande Teschio, riprendendo gli stilemi maturati in Italia da registi neorealisti come Rossellini e De Sica, sempre, però, cercando di rimanere fedele ad un suo stile personale: la scena in cui Pedro lancia un uovo sulla telecamera può addirittura simboleggiare un “pugno nell’occhio” ad una rappresentazione puramente naturalistica/neorealistica. 

Il regista spagnolo, infatti, non perde la sua vena onirica, la sua innata capacità di indagare la psiche umana e di raffigurare l’inconscio attraverso il surreale: l’apice di Los Olvidados è infatti la scena del sogno di Pedro in cui Bunuel è in grado di rappresentare le paure, le ossessioni e gli affetti del ragazzino.

A questo proposito Peter Bradshaw scrive sul the Guardian:
“Buñuel’s famous dream sequence shows a boy’s fear of violence, of poverty, of injustice and his agonised sense of his mother’s hatred for him, but all of this is expressed with subversive languor, even eroticism.”[2]

In definitiva Los Olvidados è una pellicola che vuole mostrare la violenza di una società lasciata indietro, in disparte rispetto allo sviluppo economico-urbano successivo alla guerra mondiale. Bunuel riesce a fare tutto ciò rimescolando il suo surrealismo con la crudezza di una rappresentazione rosselliniana delle strade di Città del Messico.

Edoardo Rugo


[1] http://www.ciudadmexico.com.mx/historia.htm
[2] https://www.theguardian.com/film/2007/feb/16/worldcinema.drama

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